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Sulla prescrizione poteva consumarsi un conflitto nucleare. Sarà invece una guerra fredda. Lunga e dall’esito incerto. Dal vertice di maggioranza celebrato ieri sera ( ancora non concluso al momento di mandare in stampa questo numero del giornale) un punto dovrebbe risultare chiarito: le distanze sulla norma Bonafede sono irrecuperabili ma non faranno cadere il governo, almeno per ora.
Il ministro della Giustizia respinge definitivamente la prima richiesta degli alleati: rinviare lo stop ai termini di estinzione dei reati. Entrerà in vigore il 1° gennaio come previsto. L’altro dato certo è che né il Pd né Italia viva pigeranno il pulsante fatale, quello della legge Costa: la proposta azzurra, abrogativa della legge Bonafde, sarà votata in aula solo a gennaio, ma da ieri è acclarato che nessuno nella maggioranza la sosterrà.
I paletti al blocca- prescrizione ci saranno, ma in una proposta di legge che il Pd a breve depositerà in Parlamento. Conterrà quasi certamente la prescrizione processuale, cioè «tetto di durata» del processo dopo la sentenza di primo grado. I 5 Stelle, Bonafede in primis, restano assolutamente contrari. Alle 11.30 di oggi illustrerà un’ipotesi simile Federico Conte, rappresentante di Leu nella commissione Giustizia di Montecitorio: blocco della prescrizione addirittura dopo il rinvio a giudizio ma tetto di durata anche per il primo grado.
Sempre stamattina alla stessa ora il sit- in del Partito socialista, capitanato dal nuovo segretario Enzo Maraio, per denunciare il rischio di «ergastolo processuale» contenuto nella legge Bonafede. La guerra a bassa intensità sarà poco percettibile fino alle Regionali di fine gennaio.
In attesa di comprendere se davvero il guardasigilli porterà in tempi brevi il ddl sul penale in Consiglio dei ministri, va detto che le intercettazioni rischiano invece di provocare qualche fibrillazione di fine anno, seppure non irreparabile. Se n’è parlato poco finora e si rischia di arrivare impreparati alla data del 1° gennaio: quel giorno dovrebbe entrare in vigore anche il decreto sugli “ascolti”.
Dovrebbe: Bonafede si è cautelato e ha inviato già a metà novembre una nota agli alleati per annunciare un rinvio ulteriore di 6 mesi, da inserire nel milleproroghe. Da lì il nuovo attrito col Pd, il cui vicesegretario Andrea Orlando è autore della riforma. «Inaccettabile», per il Nazareno, far slittare le norme che tutelano la privacy delle persone intercettate proprio mentre si respinge il “congelamento” della nuova prescrizione. Ma il vero punto è che dalla nascita dell’alleanza giallorossa la prescrizione ha divorato anche gli spazi di confronto destinati alle intercettazioni.
E ora ci si trova in ritardo con decisioni che i capi delle maggiori Procure attendono da tempo. Una loro delegazione ne ha discusso un paio di settimane fa proprio col ministro della Giustizia: Giuseppe Creazzo ( Firenze), Francesco Greco Milano), Francesco Lo Voi ( Palermo), Giovanni Melillo ( Napoli) e Michele Prestipino ( facente funzioni a Roma) hanno spiegato che va innanzitutto completato l’adeguamento delle sale d’ascolto, dove i difensori saranno costretti a stare attaccati per ore alle cuffiette visto che le conversazioni captate, se ritenute irrilevanti, non saranno più trascritte.
Poi c’è un problema non banale di applicabilità delle nuove misure alle indagini in corso, e sarebbe perciò indispensabile il decreto cuscinetto. Senza contare che i procuratori chiedono da tempo ( da quando a via Arenula c’era Orlando) di precisare meglio i criteri di selezione del materiale, ora affidato alla polizia più che ai pm. Vorrebbero una specifica formazione del personale sulle nuove disposizioni. Sono insomma i vertici delle maggiori Procure a ritenere necessario un rinvio, più che il guardasigilli.