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Giuseppe Pignatone
I dettagli possono essere illuminanti. Ne citiamo uno dall’articolo firmato oggi su Repubblica da Giuseppe Pignatone, fra le figure più autorevoli della magistratura italiana. Il presidente del Tribunale vaticano, già procuratore di Roma, confuta la tesi, assai popolare nell’Anm, secondo cui il riconoscimento agli avvocati del diritto di voto, nei Consigli giudiziari, sulle valutazioni di professionalità relative ai magistrati possa costituire «un insuperabile conflitto di interessi»: Pignatone nota innanzitutto che «lo stesso conflitto potrebbe immaginarsi anche tra pm e giudici». Fin qui siamo a un esempio opposto tante volte dall’avvocatura alle “obiezioni corporative” dei magistrati. Ma l’ex procuratore di Roma aggiunge un piccolo ulteriore dettaglio, a cui neppure il Foro in genere ricorre: un conflitto di interesse, scrive, dovrebbe allora essere paventato anche «tra giudici delle diverse fasi del processo». È certamente così: se il Consiglio giudiziario deve esprimere il parere da trasmettere al Csm per la valutazione di professionalità relativa a un giudice di Corte d’appello, e tra i componenti dell’organismo siede un giudice del primo grado che proprio da quel collega dell’appello si è visto riformare una sentenza, cosa si dovrebbe temere? Che il magistrato “smentito” si vendichi con un voto sfavorevole? È appunto solo un passaggio dell’intervento con cui Pignatone ha probabilmente cambiato il corso del dibattito sul ruolo degli avvocati nella giurisdizione. Il suo articolo segna una svolta perché si sofferma su tutti gli snodi della discussione sul pieno coinvolgimento del Foro, e smaschera tutti i tabù eretti come ostacolo alla riforma. Definisce innanzitutto «positiva» sia la riforma sul voto degli avvocati nei Consigli giudiziari sia l’altra possibile modifica sulle valutazioni di professionalità che potrebbe trovare spazio nel ddl sul Csm, ossia l’articolazione dei giudizi in “discreto, buono, ottimo” e il peso da attribuire all’eccessivo numero di insuccessi processuali. Pignatone giudica «l’intervento degli avvocati», in particolare, uno «strumento prezioso», giacché «può offrire al Consiglio giudiziario un punto di vista e una sensibilità diversi da quelli dei componenti togati». Decostruisce appunto la tesi dei conflitti d’interesse, dei rischi di ritorsione che le toghe dovrebbero temere da parte dell’avvocatura. E soprattutto scrive: «Trovo anche importante che ciascuna componente si assuma la responsabilità di decisioni di tanto rilievo per il buon andamento del servizio da rendere ai cittadini». Ecco: è proprio un inno al coprotagonismo degli avvocati nella giurisdizione. L’idea da cui è partito il Cnf per sollecitare il riconoscimento costituzionale dell’avvocato. Pignatone ricorre ad argomenti esemplari, li scolpisce. E dà un contributo dialettico cruciale nel dibattito intorno a entrambe le riforme: sul voto degli avvocati nelle carriere dei giudici e sull’avvocato in Costituzione.