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Ieri “Il Fatto Quotidiano” ha pubblicato pezzi di intercettazioni di un colloquio tra Tiziano Renzi e il suo difensore Federico Bagattini. E’ un episodio davvero clamoroso della guerra aperta dal quotidiano di Marco Travaglio, appoggiato probabilmente da alcuni investigatori, in parte contro il Pd e Renzi ( in parte contro le asprezze del mercato che chiede scoop comunque per vendere il giornale) ma in definitiva contro lo Stato di diritto. La segretezza dei colloqui tra difensore e assistito è considerata un principio sacro della legalità e della stessa Costituzione. E’ un principio comune a tutti i regimi di democrazia. Chi ha fornito le intercettazioni al “Fatto”, e poi il giornale che le ha pubblicate (violando in modo gravissimo la legalità), si è allineato invece a idee del diritto di stampo nettamente illiberale e autoritario, molto simili a quelle della Turchia di Erdogan.
«Non sono preoccupato né per me né per il mio assistito, ma per la categoria forense in quanto sembra affermarsi un relativismo contrario a ogni principio costituzionale in tema di tutela e garanzie difensive». Federico Bagattini, difensore di Tiziano Renzi, commenta così la notizia della pubblicazione di una conversazione telefonica intercorsa tra lui e il suo assistito. «Non distruggere le conversazioni tra il legale e il suo assistito è una decisione che rispetto. Del resto il danno ai principi è stato fatto ed è irreparabile».
Le intercettazioni di cui parla l’avvocato non sono utilizzabili a processo - secondo quanto sostengono le procure di Roma e Napoli - ma sono finite comunque sulla prima pagina di alcuni giornali: la Verità ( prima) e il Fatto quotidiano ( poi), in un articolo firmato da Marco Lillo. «Avvocato, ho avuto una notizia: Luigi Marroni è ricattabile!» dice il padre dell’ex premier al suo legale, «è ricattabile per cose private». Scrive Lillo: «La telefonata avviene dopo l’interrogatorio di Tiziano Renzi da parte dei pm Paolo Ielo e Celeste Carrano durante il quale Renzi senior e Bagattini hanno capito benissimo che il nemico numero uno, l’uomo che ha messo nei guai l’indagato davanti ai magistrati, è proprio Marroni», amministratore delegato di Consip e prin- cipale accusatore del padre dell’ex premier nell’inchiesta per traffico di influenze. Il problema però è che il dialogo tra Bagattini e Renzi senior riportato dal quotidiano diretto da Travaglio non è mai finito neanche negli atti dell’inchiesta.
«La Procura di Roma non ha ordinato la distruzione di alcuna intercettazione nel procedimento a carico di Renzi Tiziano e altri», avevano fatto già sapere da Piazzale Clodio in una nota, prima di precisare: «Peraltro l’eventuale distruzione poteva essere disposta solo dall’Ufficio che aveva disposto l’intercettazione. Inoltre, come è noto, le intercettazioni con i difensori sono inutilizzabili». Tradotto: chiedete a Napoli cosa è successo. E il capo dei pm napoletani, Nunzio Fragliasso, non si sottrae: «A questo ufficio non risulta essere stata disposta la distruzione dell’intercettazio-ne» , come sostenuto in un primo articolo pubblicato sulla Verità. Dunque, il nastro esiste ancora ma non può essere utilizzato.
La materia però è delicata, non esiste una giurisprudenza univoca sulla “inviolabilità” del rapporto tra legale e assistito. A fare chiarezza potrebbe intervenire il ddl penale che il 22 maggio approderà in Aula. Alla lettera “a” del comma 84, il testo prevede «disposizioni dirette a garantire la riservatezza delle comunicazioni, in particolare dei difensori nei colloqui con l’assistito, e delle conversazioni telefoniche e telematiche oggetto di intercettazione».
In attesa di disposizioni definitive, l’inchiesta Consip viene brandita come un brandello tra le parti. Per il Pd siamo di fronte a un «attacco alla democrazia» ( copyright Matteo Orfini) e l’onorevole Marco Anzaldi, portavoce della mozione Renzi al congresso, si scaglia contro il cronista del Fatto: «Dispiace che un giornalista come Marco Lillo, nella campagna che sta portando avanti per promuovere il suo libro, arrivi fino all’insulto contro Matteo Renzi», dice l’esponente dem.
«La pubblicazione illegale di una telefonata mai trascritta, e che forse non poteva neanche essere intercettata dagli inquirenti, lo ha portato a divenire oggetto di indagine, iscritto nel registro degli indagati per arbitraria pubblicazione di atti di un procedimento penale. È comprensibile il nervosismo, ma non si capisce cosa c’entri il giornalismo con le offese personali». Quando parla di offese, Anzaldi si riferisce alle parole pronunciate da Lillo a Radio 24.
«Matteo Renzi è un cialtrone, mente sapendo di mentire», dichiara il giornalista, a proposito di quanto riferito nei giorni scorsi dall’ex premier su una querela intentata contro lo stesso Lillo e poi ritirata. Per il cronista del Fatto, la ricostruzione del segretario Pd è falsa, lui non si accordò mai con il capo del Pd: «Io e Renzi ci siamo incontrati nel 2012 e in quella occasione mi disse altre cose», dice. «Renzi è un ometto ma deve sapere che io ho traccia di quella conversazione», aggiunge.