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ingiusta detenzione
Il magistrato di sorveglianza di Spoleto, Fabio Gianfilippi, ha ritenuto ancora fondata la questione di legittimità costituzionale del decreto legge sulle scarcerazioni, modificato in sede di conversione, e ha rinviato gli atti alla Consulta, perché rimarrebbe il vulnus del diritto alla difesa.
Il mese scorso la Corte costituzionale ha rinviato gli atti al magistrato di sorveglianza di Spoleto, Fabio Gianfilippi, chiedendogli se il decreto legge sulle scarcerazioni lo ritenesse ancora incostituzionale. Detto, fatto. Il magistrato ha ritenuto ancora fondata la questione di legittimità costituzionale e ha rinviato gli atti alla Consulta.
Ma cosa è accaduto? Ricordiamo che dopo le polemiche, secondo molti giuristi del tutto strumentali, sulla cosiddetta “scarcerazione” ( in realtà detenzione domiciliare per gravi motivi di salute) di circa 500 reclusi per reati di mafia, il ministro della Giustizia – in maniera frettolosa sull’onda emotiva dello “scandalo” – ha varato due decreti legge. In sostanza prevedono che quando un condannato per uno dei delitti indicati ( mafia e terrorismo) è ammesso alla detenzione domiciliare o usufruisce del differimento pena per motivi connessi all’emergenza covid 19, il magistrato di sorveglianza o il tribunale di sorveglianza che ha adottato tale provvedimento, acquisito il parere del procuratore distrettuale antimafia del luogo in cui è stato commesso il reato, valuta la permanenza dei motivi legati all’emergenza sanitaria entro il termine dei quindici giorni dall’adozione del provvedimento e, successivamente, con cadenza mensile. La valutazione è effettuata immediatamente, anche prima della decorrenza dei termini sopra indicati, nel caso in cui il Dap comunica la disponibilità di strutture penitenziarie o di reparti di medicina protetta adeguati alle condizioni di salute del detenuto o dell’internato ammesso alla detenzione domiciliare. In quel caso il magistrato di sorveglianza può decidere di revocare la misura e il provvedimento è immediatamente esecutivo.
Ma qui c’è il problema della lesione del diritto alla difesa. Perché? Il procedimento avviene senza spazi di adeguato formale coinvolgimento della difesa tecnica dell’interessato, senza alcuna comunicazione formale dell’apertura del procedimento e con una conseguente carenza assoluta di contraddittorio, rispetto alla parte pubblica. Ma non solo. Nel decreto Bonafede non è previsto che alla difesa sia data contezza dei risultati istruttori e la stessa è privata della facoltà di confrontarsi con i contenuti delle note pervenute: non può ad esempio sapere dove il Dap ritenga che cure adeguate possano essere svolte in favore dell’assistito e in quale modo. Non può verificare se queste cure siano le stesse che i medici dell’interessato considerano efficaci e risolutive. Non può confrontarle con quelle che, in ipotesi, abbia già intrapreso durante il periodo trascorso in detenzione domiciliare. Non può, soprattutto, prendere atto dei contenuti del parere della parte pubblica, che invece ha potuto leggere l’intera istruttoria pervenuta e svolgere autonomi approfondimenti istruttori, e quindi la difesa non può fornire al magistrato di sorveglianza le proprie repliche.
La Consulta però, nel frattempo, ha preso atto che la norma – durante la conversione in legge - è stata parzialmente modificata con l’obbligo da parte del tribunale di sorveglianza di pronunciarsi sulla revoca del provvedimento, ove emessa dal magistrato di sorveglianza, entro il termine di 30 giorni. Tutto nell’ambito di un procedimento in cui la difesa ha pieno accesso agli atti. Per questo motivo ha chiesto al magistrato Gianfilippi una nuova valutazione. Quest’ultimo però ritiene ancora rilevante e manifestamente fondata la questione di legittimità costituzionale, perché rimarrebbe intatto il vulnus del diritto alla difesa. Oltre a tutti i punti precedenti, non modificati durante la riconversione e quindi tuttora irrisolti, la questione è che se in trenta giorni, pur con un contributo della difesa, la magistratura di sorveglianza non riesce ad assumere una valutazione compiuta, viene confermata in automatico la revoca dei domiciliari nei confronti di una persona con gravi problemi di salute senza ulteriori approfondimenti. Oppure, altra questione, quando il magistrato dispone un approfondimento, la misura di revoca scade, il detenuto nel frattempo quindi usufruisce della detenzione domiciliare e poi eventualmente ritorna dentro. Il tutto è irragionevole e non garantirebbe un contraddittorio pieno tra le parti. Quindi, di nuovo la parola alla Consulta.