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Un sovraffollamento record da diversi anni mai raggiunto. Al 31 agosto 2019, secondo i dati pubblicati sul sito del ministero della Giustizia, i detenuti ristretti nelle 190 carceri italiane sono 60.741 rispetto ad una capienza regolamentare di 50.469. Cioè vuol dire che risultano 10.272 detenuti in più. Per comprendere l’allarmante tasso in crescita, basti pensare che il picco precedente più alto di quest’anno si è registrato al 31 marzo, con 10.097 ristretti oltre la capienza regolamentare. Un altro paragone da fare è quello con i numeri al 31 agosto del 2018: erano 8.513 i detenuti in più.
Ma i numeri dell’estate di quest’anno risulterebbero addirittura maggiori se dovessimo sottrarre dalla capienza regolamentare i 3.704 posti non disponibili perché inagibili, oppure in via di ristrutturazione. Dato estrapolato dall’esponente del Partito Radicale Rita Bernardini, grazie all’analisi delle schede di ogni singolo istituto aggiornato dal ministero. Un dato che ci riporta alla vera dimensione del problema e quindi dell’effettiva emergenza sovraffollamento e che non solo si è affievolita, ma dagli ultimi dati si evince che il trend è in continua crescita.
Una emergenza riconosciuta dall’attuale ministro Bonafede che però ha fatto varare la ricetta condivisa da tutto il governo: il nuovo piano carceri con la costruzione di nuovi penitenziari e riconversione di caserme dismesse. Dopo aver bocciato i decreti della riforma penitenziaria originaria che prevedevano l’implementazione delle pene alternative, ha fatto stanziare 20 milioni derivanti dalla legge di Bilancio del 2019 e una quota non specificata di 10 milioni derivanti dal Fondo per l’attuazione della riforma dell’Ordinamento penitenziario, finalizzati al piano carceri.
Ma, come ha rivelato Michele Miravalle di Antigone, se si considera che il Piano Carceri del 2010 aveva uno stanziamento di circa 460 milioni di euro e che alla fine del 2014 ne sono stati spesi circa 52 per la realizzazione di 4.400 posti, è facile capire come meno di 30 milioni di euro in due anni non sarebbero lontanamente sufficienti. La storia dei piani carcere ha, però, dimostrato come la soluzione si sia rilevata fallimentare.
Dai vecchi dati del Dap, ad esempio, si registra che nel 1974 c’erano 28.286 detenuti. Eppure, sono numeri ridicoli a fronte di 60.741 detenuti di oggi, nonostante – dati Istat alla mano – i reati sono diminuiti rispetto a quegli anni. In tutto questo, gli istituti penitenziari sono aumentati di diverse unità rispetto agli anni 70.
Dal 1990 al 2012 assistiamo a un considerevole aumento del trend fase di alta carcerizzazione – che raddoppia la presenza dei detenuti in carcere, raggiungendo quasi 65 mila detenuti. Numeri altissimi che fecero scattare la condanna dalla Corte europea di Strasburgo per trattamento inumano e degradante.
Parliamo della sentenza pilota Torreggiani che ha costretto il nostro Paese a rivedere la pena e trovare percorsi alternativi al carcere. Ma non fu l’unica: ci fu un precedente. Parliamo della sentenza Sulejmanovic del 2009, dove per la prima volta la Corte europea accerta la violazione dell’articolo 3 della convenzione per eccessivo sovraffollamento carcerario. A seguito di questa sentenza il nostro Paese ha iniziato ad interrogarsi sulle azioni da implementare per affrontare il problema del sovraffollamento. Come? Con la costruzione di nuovi Istituti penitenziari.
Più ne hanno costruiti, più il sovraffollamento tendeva ad aumentare. Motivo per il quale, il Comitato europeo per la prevenzione della tortura ( Cpt) disse all’Italia che costruire nuove carceri per risolvere il problema del sovraffollamento non è la strada giusta, perché «gli Stati europei che hanno lanciato ampi programmi di costruzione di nuovi istituti hanno infatti scoperto che la loro popolazione detenuta aumentava di concerto con la crescita della capienza penitenziaria». Viceversa, «gli Stati che riescono a contenere il sovraffollamento sono quelli che hanno dato avvio a politiche che limitano drasticamente il ricorso alla detenzione».
La verità, rilevata dall’ultima relazione dell’autorità del garante nazionale delle persone private della libertà, è che gli ingressi nel carcere sono diminuiti, ma non si esce nonostante ci siano migliaia di persone che hanno commesso dei reati per i quali il carcere dovrebbe essere una estrema ratio.