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La proroga dei termini compiuta col dl 125/ 2020 rischia di rendere «inutilizzabili» gli strumenti emergenziali messi a disposizione del mondo della Giustizia. A sollevare la questione è la Giunta esecutiva centrale dell’Associazione nazionale magistrati, che paventa rischi legati alla proroga delle disposizioni emergenziali, arrivata a pochi giorni dalla scadenza precedentemente fissata al 31 ottobre e che consente di svolgere le udienze tramite trattazione scritta o con collegamenti a distanza fino al 31 dicembre 2020. «Se vi fosse maggiore consapevolezza dei meccanismi processuali - si legge in una nota diffusa dall’Anm - e delle loro implicazioni, si procederebbe consentendo l’uso degli strumenti alternativi di trattazione per un periodo tendenzialmente unico e di maggiore respiro, per renderli effettivi e utili a fronteggiare l’attuale emergenza». Di fatto, il dl 125 stabilisce la proroga, fino a fine anno, dell’obbligo del deposito telematico di atti e documenti nei processi civili, il potere del giudice di disporre la celebrazione delle udienze civili che non richiedono la presenza di soggetti diversi dai difensori delle parti nella modalità a trattazione scritta, nonché la celebrazione delle udienze civili che non richiedono la presenza di soggetti diversi da difensori, parti e ausiliari del giudice tramite collegamenti da remoto e la possibilità di partecipazione alle udienze civili di una o più parti o di uno o più difensori, su istanza dell’interessato, tramite collegamento a distanza. Ma non solo: tale proroga consente al giudice di disporre il deposito del giuramento telematico del consulente tecnico, la partecipazione degli imputati in custodia cautelare o detenuti, con il consenso delle parti, tramite collegamento da remoto e la possibilità di svolgere a distanza i colloqui con i congiunti. «La Giustizia non è un esercizio commerciale, che apre e chiude la saracinesca senza preavviso - commenta al Dubbio Marcello Basilico, componente della Giunta esecutiva centrale dell'Anm -. Non si considera che la celebrazione dei processi richiede tutta una serie di attività: se si deve notificare a dei testimoni il rinvio di un’udienza o agli avvocati una discussione, vanno previsti degli spazi nei calendari d’udienza, va organizzata l’udienza da remoto, vanno liberati spazi temporali per giudici, collegi, difensori, parti e quindi il tempo necessario per tutto questo». Ma soprattutto, ci sono dei termini da rispettare, previsti proprio dalla legislazione d’emergenza. Un esempio: per le note scritte bisogna dare comunicazione alle parti almeno 30 giorni prima della data fissata per l’udienza, mentre alle parti è consentito, nei cinque giorni successivi, richiedere la discussione orale. «C’è tutto un procedimento che è difficile rispettare nell’arco di due mesi e mezzo, quali mancano da qui a fine dicembre - continua Basilico -. Quello che chiediamo è che il legislatore abbia una visione più complessiva e lungimirante. Non si può procedere per proroghe a singhiozzo, fatte a ridosso della scadenza del termine precedente e senza corrispondenza temporale col termine che lo stesso Governo ha stabilito per il periodo emergenziale». Il suggerimento dell’Anm è quello di utilizzare in via definitiva tali strumenti, seppure solo per alcune attività mirate e nelle loro parti “migliori”, anche in vista delle conseguenze che il Covid avrà sulla giustizia come su tutte le amministrazioni pubbliche per i prossimi mesi. Ad esempio la trattazione scritta potrebbe diventare la regola nel processo civile, secondo Basilico, almeno per quegli spicchi di processo che la consentono senza ledere il contraddittorio e l’efficacia degli atti: si pensa a discussioni meno complesse o a molti conferimenti di incarichi ai consulenti tecnici, «tutte attività che richiedono tempo e che, se fatte per iscritto, liberano spazi e ci consentono di dedicare tempo alle udienze in presenza». Insomma, il rischio è che gli strumenti adottati per l’emergenza, seppur «utili», si rivelino poco utilizzabili. «La conseguenza è che si andrà avanti sempre con le udienze in presenza e quindi con i ritmi che saranno consentiti dal Covid - aggiunge -, perché le aule spesso non sono idonee per la celebrazione di molte tra le udienze in presenza». Ad esprimere preoccupazione è, poi, anche il presidente dell’Unione nazionale delle Camere civili, Antonio de Notaristefani, che invoca, per una vera ripartenza del Paese, «una riforma seria, profonda e complessiva della giustizia». L’Uncc, tra le proposte presentate al governo, chiede investimenti in personale, competenze e tecnologia, con la concreta realizzazione dell’Ufficio del processo, l’istituzione di Sezioni stralcio a composizione collegiale e l’obbligatorietà di una decisione immediata per tutte le cause che non richiedono attività istruttoria. Il tutto, ovviamente, non a costo zero. La possibilità che il governo possa destinare «meno risorse possibili alla giustizia» spaventa infatti i civilisti. Secondo cui «l’assenza di una progettualità, la confusione di idee, la propensione a cambiare l’ordine delle priorità sulla base di una mera logica di risparmio è il peggior presupposto possibile per intavolare la riforma». Il tutto nonostante i cospicui fondi messi a disposizione dall’Ue con il Recovery Fund. Che rischia di essere compromesso, senza una “ristrutturazione” della Giustizia.