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mafia capitale
Per i giudici, i numerosi episodi di corruzione e estorsione venuti fuori nel corso dell’indagine e del dibattimento servono a constatare «un sostanziale e gravissimo inquinamento dei rapporti tra politica ed imprenditoria». Rapporti, annotano amaramente i giudici, «che non sono risultati prerogativa esclu- siva del “gruppo Buzzi”» ma che non sono comunque sufficienti per inquadrare il reato di associazione a delinquere di stampo mafioso per i numerosi imputati.
Quella romana non presenta infatti nessuna delle ipotesi di mafiosità messe in campo dagli inquirenti: né derivata, né autonoma. Non c’è dunque quella che i togati chiamano “mafiosità autonoma”: se da un parte infatti gli episodi di estorsione e violenza venuti fuori si riducono a poco più di una decina nell’arco di tre anni, dall’altro «si collocano in un contesto relazionale e territoriale particolarmente limitato, composto in massima parte o da conoscenti di vecchia data di Carminati e Brugia o da soggetti che comunque frequentavano assiduamente la zona di Corso Francia ed il distributore di benzina gestito dai Lacopo».
Non c’è poi nemmeno quella «mafiosità derivata», maturata nel sottobosco di quello che resta della banda della Magliana. «Non è possibile stabilire una derivazione tra il gruppo operante presso il distributore di benzina, l’associazione operante nel settore degli appalti pubblici e la banda della Magliana, gruppo criminale organizzato e dedito ad attività criminali particolarmente violente e redditizie» scrivono i giudici, visto che «si tratta di un gruppo ormai estinto».
Certo, Massimo Carminati è il naturale punto di contatto tra le due realtà ma, si legge ancora tra le carte, «fama a parte, l’esistenza di un collegamento soggettivo non significa, però, automatico ripristino o prosecuzione del gruppo precedente: non è sufficiente l’intervento di Carminati, “erede della banda della Magliana”, a stabilire un rapporto di derivazione tra detta banda e successive organizzazioni in cui Carminati si trovi coinvolto.
Peraltro, neppure per la banda della Magliana si è potuti giungere ad affermare che si trattasse di un’associazione di tipo mafioso». Non è mafia quindi anche perché, scrivono i magistrati della X sezione penale, quelle del tribunale sono «conclusioni obbligate, (si tratta, peraltro, dello stesso collegio giudicante che nel 2015 riconobbe la mafiosità del clan Fasciani di Ostia), sia per la attuale formulazione dell’art. 416 bis, sia per l’impossibilità di interpretazioni talmente estensive di tale norma da trasformarsi - con violazione del principio di legalità - in vere e proprie innovazioni legislative, che rimangono riservate al legislatore».
«I gruppi criminali come individuati – si legge – appaiono distinti per la diversità dei soggetti coinvolti nelle due categorie di azioni criminose, per la diversità stessa della azioni criminose e per la eterogeneità delle condotte organizzative ed operative». Ed è proprio questa mancanza di omogeneità che ha convinto i giudici a respingere le ipotese della procura: manca «un unicum criminale» che «giunge ad avvalersi di una carica intimidatoria condizionante, da un lato, la legalità dell’agire amministrativo e, dall’altro, la libertà di iniziativa dei soggetti imprenditoriali concorrenti nelle pubbliche gare e ciò al fine di controllare ed orientare in proprio esclusivo favore gli esiti delle relative procedure».