Solo stamattina sapremo se la Corte costituzionale nel bocciare l’Italicum e decurtarlo del ballottaggio lascerà o meno il premio di maggioranza. Fiato sospeso nei Palazzi a cominciare dal Colle più alto perché, scontata per molti aspetti l’incostituzionalità della legge elettorale, se la Consulta consegnerà al Paese un sistema proporzionale ma con un rafforzamento di tipo maggioritario, con premio alla lista che raggiungesse il 40 per cento dei voti, questo avrebbe un effetto di tutto rilievo sulle forze politiche.
Solo stamattina sapremo se la Corte costituzionale nel bocciare l’Italicum e decurtarlo del ballottaggio lascerà o meno il premio di maggioranza. Fiato sospeso nei Palazzi a cominciare dal Colle più alto perché, scontata per molti aspetti l’incostituzionalità della legge elettorale, se la Consulta consegnerà al Paese un sistema proporzionale ma con un rafforzamento di tipo maggioritario, con premio alla lista che raggiungesse il 40 per cento dei voti, questo avrebbe un effetto di tutto rilievo sulle forze politiche: quello di spingerle a coalizzarsi, correggendo la legge quando si tratterà di renderla omogenea al proporzionale per il Senato, come sistema che riguarda non liste ma coalizioni. Un effetto insieme di riordino del panorama politico, anche al fine di sconfiggere i populismi, e con l’inevitabile tramonto del Pd in versione uomo solo al comando: nessun partito è infatti in condizione di raggiungere da solo il 40 per cento dei voti.
Tutto rimandato a oggi perché la giornata di ieri, quella dell’udienza pubblica e del confronto tra le parti, è stata proceduralmente estenuante, e per il pubblico a tratti anche sorprendente. «Otto anni per dichiarare l’incostituzionalità del Porcellum, che nel frattempo è stato così impiegato per eleggere per ben tre volte il Parlamento... e ora l’Avvocatura dello Stato ci dice, per conto del governo, che non si può giudicare l’Italicum perché non è mai stato applicato! E meno male!», si accalorava tra un esclamativo e l’altro, l’avvocato Vincenzo Palumbo. È uno dei non pochi che hanno impugnato l’Italicum passando per le maglie di ben cinque tribunali della Repubblica, e si è beccato dal presidente della Consulta una reprimenda e la minaccia di togliergli la parola, «non abusi della pazienza della Corte!», «si evitino concioni politiche!», «questi interventi sono troppo prolissi!», in soldoni qui si parla a braccio non si leggono interventi... Il gioco procedurale, nonostante il Collegio si fosse portato avanti procedendo a un primo giro di opinione sulla relazione del professor Zanon addirittura lunedì, in una riunione di pre- consiglio convocata all’ultimo momento, ha portato a far slittare al pomeriggio più che inoltrato il momento cruciale in cui i giudici si ritirano nella sala del consiglio e prendono una decisione.
Non che la situazione non fosse prevedibile, tanto che Grossi aveva già sgombrato di impegni l’agenda dei giudici per tutta la giornata di oggi. Si sapeva, che anzitutto bisognava decidere se il Codacons potesse essere audito ( respinto per richiesta tardiva), che poi ci sarebbe stata l’approfondita esposizione delle ragioni dei ricorrenti da parte del giudice relatore della causa, il costituzionalista di nomina presidenziale Niccolò Zanon. E infine, appunto, gli avvocati, Palumbo, Besostri, Acquarone, a nome dei molti altri pure presenti. Quando, più o meno all’ora dell’aperitivo, Grossi ha sentito Acquarone che spiegava quanto anche il proprio barbiere reputasse inconcepibile valutare la costituzionalità di una legge solo dopo la sua applicazione, «ma insomma se è una legge che istituisce la pena di morte poi che si fa, la si cancella solo dopo che è morto qualcuno?», non ha apprezzato il riferimento alla vox populi, al buonsenso comune: ha chiuso la seduta, aggiornandola alle 16, «perché l’Avvocatura dello Stato deve avere tutto il tempo che vuole per illustrare le proprie ragioni». A quel punto, il tempo rimasto invece ai giudici per una decisione così attesa si è fatto veramente breve. L’Avvocatura non è stata da meno degli avvocati, facendosi precedere da Paolo Grasso per la presidenza del Consiglio che a difesa della legge elettorale renziana ha inforcato la via del «giudizio non incidentale» ( ovvero, volendo semplificare come il barbiere di Acquarone, attendere che cali la mannaia del boia prima di impugnare una legge), e poi profondendosi nell’illustrare la «ragionevolezza» dell’Italicum. È andata via un’altra oretta. Ritiratisi in camera di Consiglio alle 17, i giudici avranno ieri fatto in tempo appena a decidere delle autoremissioni e delle ammissibilità. Mentre laggiù tra i palazzi del contado ancora ci si chiedeva: ma resta il premio di maggioranza? I più scommettevano