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Caiazza
«È finita l'epoca dei monologhi o per lo meno saranno sempre meno credibili. Ci comincia a comprendere la gente comune che si sente riscattata. Siamo più forti di prima e non molleremo di un millimetro. Saremo sempre pronti al dialogo con tutti, ma diremo la nostra a quel tavolo con Bonafede e poi lo saluteremo definitivamente se il testo non verrà modificato». Hanno il sapore di un ultimatum le parole del presidente dell'Unione camere penali Gian Domenico Caiazza, che oggi ha chiuso i lavori dell'inaugurazione dell'anno giudiziario a Brescia. Una due giorni che ha fissato alcuni dei punti fermi dell’Ucpi, soprattutto ribadendo che i diritti non possono essere messi in discussione da una riforma schiacciata, invece, su esigenze di velocizzazione dei tempi processuali, mal conciliate con il diritto alla difesa. Ed è per questo, ha sottolineato Caiazza, che gli elementi di frizione tra avvocatura e ministero della Giustizia vanno ben al di là della sola questione prescrizione, punta di un iceberg molto più profondo. «Sin dal primo momento - ha sottolineato il presidente dell’Ucpi - abbiamo individuato in quel tema qualcosa che comprendeva in modo emblematico lo scontro di due idee del diritto e abbiamo visto in quel tema, nella scelta propagandistica, populista di quella riforma, in realtà, il cavallo di Troia per arrivare a ben altro. Perché quando si parla di tempi del processo poi si finisce inesorabilmente per rappresentare, da parte di quella cultura che noi avversiamo, le garanzie e i diritti come le cause del tempo perso nel processo. E quindi, quando l’obiettivo, che non può che essere condiviso, è la riduzione dei tempi del processo, noi ci troviamo di fronte allo scontro di quelle due culture, di chi pensa che si debba guadagnar tempo tagliando diritti e garanzie, fino a quelle dell’impugnazione e del secondo grado di giudizio, e chi pensa invece che è possibile ed è doveroso lavorare a guadagnare tempi ragionevoli del processo lasciando intatte le garanzie dell’imputato, del difensore, della prova». Le garanzie difensive non rappresentano un capriccio, hanno voluto sottolineare i penalisti. Piuttosto, sono un patrimonio comune, la sintesi del patto sociale sancito nella Costituzione. Ed è per questo, ha chiarito Caiazza, che le idee da portare al tavolo con Bonafede «non sono un’opzione», bensì «derivano dal rispetto di quel patto sociale, dal rispetto dei valori costituzionali». L’intento, già annunciato, è di presentarsi al tavolo ministeriale per pretendere risposte, prima che per ricominciare a discutere sul da farsi. Risposte, appunta, sulla manomissione dell’accordo raggiunto quasi miracolosamente, trovando un punto di contatto tra avvocatura, magistratura e accademia. «L’esito di quel tavolo, al quale abbiamo lavorato per 4-5 mesi, del quale oggi non c’è più traccia in quel disegno di legge - ha sottolineato Caiazza - erano tutte cose che avevamo guadagnato nell’ottica sì di guadagnare tempo, ma senza toccare le garanzie. E tutte, non una esclusa, sono state manomesse. Di chi è la mano, chiediamo noi?». Ma la battaglia condotta dall’Unione delle Camere penali, ha assicurato Caiazza, non è solitaria. «Sui grandi temi che poniamo c'è una magistratura che è al nostro fianco attorno ai valori e ai principi costituzionali. Che Paese è un Paese dove 150 professori e accademici si schierano e non c'è nessuno a cui interessa? - si è chiesto - Noi non demordiamo, rilanciamo. Chiederemo a questi accademici di costituire un gruppo di lavoro che vigili su questa pericolosa legge perché qui si gioca una partita che non possiamo perdere». Un’ultima battuta il capo dei penalisti l’ha riservata, ancora una volta, alla scelta dell’Anm di disertare il tavolo. «Non viene perché animata da questioni di principio, una cosettina grottesca - ha concluso -. Non è che Anm già è ampiamente soddisfatta rispetto a quel tavolo? Fanno gli offesi, ma noi i fessi no».