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Arrivano oggi, le autorità giudiziarie italiane. Arrivano al Cairo, per una “visita” programmata da più di una settimana, da quando cioè il procuratore generale egiziano Nabeel Sadek ha assicurato al capo dei pm di Roma Giuseppe Pignatone che avrebbe messo a disposizione le riprese effettuate dalle telecamere a circuito chiuso nella Capitale egiziana in cui compare Giulio Regeni, le ultime immagini del ricercatore italiano trovato torturato e ucciso il 3 febbraio 2016. Una svolta alle indagini, le sole da cui la famiglia di Giulio possa aspettarsi la verità, ossia quelle condotte dalla Procura della Capitale italiana. Ebbene, poche ore prima che il sostituto di Pignatone Sergio Colaiocco si imbarcasse per il Paese nordafricano, si è messo in moto quello che con amaro sarcasmo potremmo definire il protocollo di benvenuto: nella notte tra giovedì e venerdì è stato arrestato uno dei consulenti legali egiziani dei familiari di Giulio, Mohamned Lofty. Hanno liberato lui ma trattenuto sua moglie, finita in isolamento. Un atto a cui hanno risposto Paola Regeni, la madre di Giulio, e Alessandra Bal- lerini, avvocata della famiglia del ricercatore e a sua volta protagonista dell’ostinata ricerca della verità messa in atto in questi due anni: «Abbiamo appena iniziato un digiuno a staffetta per chiedere l’immediata liberazione di Amal Fathy, moglie del nostro consulente legale al Cairo Mohamed Lofty», spiega Ballerini. «Mohamed è il direttore della Commissione per la libertà e i diritti umani attiva presso la capitale egiziana. Come donne, siamo particolarmente turbate e inquiete per il protrarsi della detenzione di Amal. Nessuno deve più pagare per la nostra legittima richiesta di verità. E per questo chiediamo di digiunare con noi finché Amal non tornerà libera».
A raccogliere per prima l’appello è stata la senatrice del Pd Monica Cirinnà: «Aderisco con indignata passione», ha detto. Alcuni giorni fa il ministro degli Esteri italiano tuttora in carica, Angelino Alfano, aveva salutato con entusiasmo la disponibilità del procuratore egiziano a far acquisire le immagini di Giulio. Quarantott’ore dopo è arrivato l’arresto di Fathy e della sua famiglia. «Nella notte tra giovedì e venerdì scorsi le forze di sicurezza della National security hanno fatto irruzione in casa di Mohamed», racconta ancora l’avvocato Ballerini, «hanno prelevato lui, Amal e il loro bimbo di tre anni. Mohamed collabora con noi dal 2016, è grazie alla sua associazione se a dicembre siamo riusciti a ottenere copia del fascicolo aperto dalla magistratura egiziana. Ebbene», spiega Ballerini, «giovedì pomeriggio io e Mohamed avevamo avuto una lunga conferenza telefonica per aggiornarci sugli ultimi sviluppi, poi fino a tarda sera ci siamo scambiati in chat informazioni riservate. Poche ore dopo, gli agenti hanno fatto irruzione a casa Lofty. Hanno perquisito tutto, sequestrato il telefono in cui sono conservate tutte le conservazioni intercorse con me, hanno impedito a Mohamed di effettuare altre chiamate e lo hanno arrestato con moglie e figlioletto». Lofty è stato rilasciato poche ore dopo insieme con il piccolo, in virtù della doppia cittadinanza svizzera– egiziana, e della mobilitazione immediata dell’ambasciata svizzera al Cairo.
Un tempismo a cui sarebbe doveroso corrispondesse la mobilitazione delle più alte rappresentanze istituzionali italiane, presidenza della Repubblica compresa. Ballerini intanto è in ansia, insieme con Paola Regeni, perché appunto la moglie di Lofty, Amal, è tuttora in arresto. «L’hanno tenuta in isolamento, con l’accusa di aver diffuso notizie false sui social e aver attentato alla sicurezza dello Stato, reato che in Egitto è punito con l’ergastolo o la pena di morte. L’arresto», nota l’avvocata della famiglia Regeni, «fa seguito a una campagna mediatica diffamatoria messa in atto dai media governativi contro Amal, suo marito Mohamed e la loro Commissione per i diritti umani, accusata di essere un’organizzazione che attenterebbe, appunto, alla sicurezza del Paese. Si tratta di un gravissimo ed evidente attacco a tutti noi difensori della famiglia Regeni, portato proprio all’indomani della consegna della traduzione del fascicolo da parte della Procura» e, come ricordato, «a poche ore dal viaggio al Cairo del procuratore Colaiocco. Ecco perché», ripete Ballerini, «abbiamo iniziato il digiuno, che non interromperemo finché Amal non sarà liberata».