PHOTO
Chi è al 41 bis, a causa della pandemia, a differenza dei detenuti “ordinari” non può effettuare i video colloqui con i figli minori. Il caso è stato sollevato alla Consulta, ma quest’ultima ha dichiarato inammissibile la questione di legittimità costituzionale della norma. Il motivo? Riguarda l’incompetenza del giudice remittente in materia di autorizzazione ai colloqui. A sollevare il caso è stato il Tribunale minorenni di Reggio Calabria che si occupa dei minori i cui genitori sono stati dichiarati decaduti dalla potestà genitoriale anche quando questi ultimi chiedono al Tribunale di autorizzare i colloqui con i figli tramite strumenti informatici. Però, secondo l’articolo 18 dell’ordinamento penitenziario, fino a sentenza di primo grado spetta solo al giudice procedente. Dopo la sentenza di primo grado, si chiede l’autorizzazione al direttore e in caso di diniego, va fatto reclamo alla magistratura di sorveglianza. Il diritto all'affettività negato ai figli minori di reclusi al 41 bis Il diritto all’affettività, causa pandemia, è di fatto negato ai figli minorenni dei detenuti al 41 bis. La Corte costituzionale ha semplicemente dichiarato l’inammissibilità per un discorso di competenza, non entrando, quindi, nel merito delle possibili questioni che fondano dubbi di incostituzionalità. La Consulta osserva che l’eventuale idea di una competenza diversa di due autorità ( e cioè il Tribunale minorenni da un lato e le autorità individuate dall’ordinamento penitenziario) in rapporto al medesimo provvedimento di autorizzazione ai colloqui, provocando l’eventuale e conseguente rischio di decisioni contrastanti, si presenterebbe confliggente con la “logica di sistema”. Il mancato colloquio con il padre è una grave sofferenza La questione, quindi, rimane aperta. La legislazione vede il colloquio solo come una richiesta del detenuto e non come diritto del minore a tutelare la sua affettività. Eppure, al di là della “logica di sistema”, chi meglio del Tribunale dei minorenni che conosce il bambino, potrebbe giudicare l’essenzialità del colloquio anche e soprattutto del suo benessere psicofisico? Pensiamo proprio al caso specifico sollevato dal Tribunale dei minorenni. In particolare c’è il figlio di appena 14 anni che necessita di parlare con il padre recluso al 41 bis. Dalla relazione psicologica emerge la grave sofferenza del ragazzino recante «segni di trauma dovuti alla separazione dal padre e tratti di rigidità, collegati a difese emotive, con la conseguenza che il medesimo adolescente vive uno stato di lutto non completamente elaborato sia per l’assenza del genitore che per le situazioni esistenziali che si trova a vivere». Non solo. Il ragazzino è anche affetto da una importante patologia cronica ( diabete) che, durante l’emergenza epidemiologica, sconsigliava ( e sconsiglia) assolutamente i suoi spostamenti, oltretutto molto complessi per le restrizioni governative in atto. Ma niente da fare. Non gli è permesso fare una videochiamata tramite skype. L'Osservatorio Lucio Bertè aveva proposto un protocollo per tutti i detenuti Ma tanti sono i casi simili. Il Dubbio ha raccolto la testimonianza della moglie di E. Romeo, un detenuto recluso al 41 bis di Tolmezzo. «Da più di un anno che i miei figli non fanno un colloquio con il padre - ci racconta Caterina Di Pietro -, nemmeno tramite skype. Il magistrato di sorveglianza di Udine aveva dato il via libera, ma il Dap si è opposto. Non ho parole. I miei figli non leggono neanche più le lettere del padre. Soffrono tanto e non ho più parole di conforto». Perché punire anche i figli piccoli? Ricordiamo al proposta avanzata dall’Osservatorio Lucio Bertè, nata sulla scorta di un’esperienza già fatta dall’avvocata e componente dell’Osservatorio Simona Giannetti, per la minore figlia di un suo assistito detenuto. Si tratta di un protocollo esteso a tutti i detenuti, non solo quelli “ordinari”, per attivare una serie di colloqui telefonici quotidiani, fra i minori e i genitori detenuti, ai quali è impedita – in questo periodo – qualsiasi visita. L’obiettivo è la tutela del minore, della sua salute, del diritto di affettività col genitore, della non discriminazione rispetto ai coetanei.