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Dopo il permesso premio, la Corte costituzionale dovrà esprimersi anche sulla liberazione condizionale che non può esser concessa a chi non collabora con la giustizia. Parliamo sempre dell’ergastolo ostativo, ovvero l’espressione che indica quel peculiare regime previsto nell’ipotesi in cui l’individuo sia condannato all’ergastolo per uno dei gravi delitti di cui all’art. 4 bis dell’ordinamento penitenziario e non collabori con la giustizia ai sensi dell’art. 58- ter dell’ordinamento. Quest’ultima disposizione, in particolare, definisce quali persone che collaborano con la giustizia coloro che «anche dopo la condanna, si sono adoperati per evitare che l’attività delittuosa sia portata a conseguenze ulteriori ovvero hanno aiutato concretamente l’autorità di polizia o l’autorità giudiziaria nella raccolta di elementi decisivi per la ricostruzione dei fatti e per l’individuazione o la cattura degli autori dei reati».
In queste ipotesi – ovvero in assenza di collaborazione – gli ergastolani non possono accedere ad una serie di benefici penitenziari, quali il lavoro all’esterno, i permessi premio, le misure alternative alla detenzione e, ai sensi della l. 203/ 1991, la liberazione condizionale. Ora, con la decisione numero 4 del 2020, la prima sezione penale della Corte di Cassazione ha dichiarato rilevante e non manifestamente infondata, con riferimento agli articoli 3, 27 e 117 della Costituzione, la questione di legittimità costituzionale dell’articolo 4 bis, nella parte in cui escludono che il condannato all’ergastolo che non abbia collaborato possa essere ammesso alla liberazione condizionale.
Nona caso la Cassazione, a proposito dei precedenti giurisprudenziali, fa anche riferimento alla sua ordinanza relativa al caso Canizzaro. Quello nel quale aveva avanzato l’illegittimità costituzionale poi riconosciuta dalla Consulta. La Cassazione, con quella scorsa ordinanza, ha ritenuto infatti rilevante e non manifestamente infondata, la questione di costituzionalità dell’art. 4 bis, comma 1 dell’ordinamento penitenziario, in riferimento agli art. 3 e 27 della Costituzione, nella parte in cui esclude che il condannato all’ergastolo, per delitti commessi avvalendosi delle condizioni di cui all’art. 416 bis, ovvero al fine di agevolare l’attività delle associazioni in esso previste, che non abbia collaborato con la giustizia a norma dell’art. 58 ter, possa essere ammesso al godimento di un permesso premio di cui all’art. 30 ter dell’ordinamento penitenziario. Ora, com’è detto, è la volta della liberazione condizionale. Quest’ultima comporta la sospensione dell'esecuzione della pena che rimane da scontare ed è un beneficio di cui può godere il condannato a pena detentiva che, durante il tempo di esecuzione della pena, abbia tenuto un comportamento tale da far ritenere sicuro il suo ravvedimento, il quale si desume dai rapporti del detenuto con il personale carcerario, con gli altri detenuti, con i propri familiari, dall'attività di lavoro e di studio svolta nell'ambiente carcerario e dall'interessamento nei confronti delle vittime del delitto. Infatti, la mancata richiesta di perdono da parte del condannato nei confronti della vittima del reato da lui commesso e la sua indifferenza verso la stessa ben possono incidere negativamente sulla valutazione del comportamento dell'imputato. Mentre si ritiene che non possa, di per sé, costituire ostacolo la mancata ammissione del condannato delle proprie responsabilità.