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Fare finta di nulla, pretendere che la legge 300 non abbia subito gli insulti de tempo, non sia stata messa a dura prova dai cambiamenti sociali e dei sistemi di produzione, sarebbe una pietosa bugia. Non è vero, e non si è avuta remora nel parlarne, durante il ricco dibattito istruito ieri pomeriggio sul web dal Consiglio nazionale forense e intitolato “Cinquant’anni di Statuto dei lavoratori: retrospettiva ed evoluzione di una legge ancora attuale”. Discussione intensa, coordinata dalla vicepresidente di Agi (Avvocati giuslavoristi italiani) Aurora Notarianni. Forse il passaggio più severo dell’analisi lo segna uno degli altri tre avvocati intervenuti come componenti esterni della commissione Diritto del lavoro del Cnf, Massimo Farina, quando fa notare che «a inizio degli anni Novanta è entrata in crisi la capacità dei quadri intermedi, a cominciare dai sindacati, di offrire tutele ai lavoratori».
Nel quadro della comunità che si disgrega, dunque, la difesa dei diritti sconta la desertificazione della rappresentanza. Eppure, persino dinanzi a un simile scenario, lo Statuto continua a essere «un gioiello prezioso», come lo definisce Notarianni. Se ancora merita di essere «tenuto ben presente nell’applicazione del canone di maggior tutela», e se ancora fa sentire la propria forza «anche rispetto alle garanzie per i nuovi lavori, ad esempio per i riders», vuol dire che quel «soffio della storia» emanato nel 1970 aveva davvero una spinta straordinaria.
E così, dal dibattito voluto dalla massima istituzione forense, la legge 300 esce come un bene da custodire, che impone una mobilitazione intellettuale in grado di valorizzarlo. Più che un giudizio sospeso, il confronto di ieri pomeriggio offre dunque un monito: quella «vera e propria simbolica e pacifica rivoluzione del 1970», sempre per citare la vicepresidente di Agi, è un valore da mettere ancora a frutto, che per la grandezza dei principi affermati merita di essere riscoperto e ascoltato.
A volere l’iniziativa è dunque un Cnf che, come spiega la presidente Maria Masi nel suo saluto iniziale, «tiene a richiamare il significato di quelle leggi speciali come lo Statuto dei lavoratori in grado di attuare la decodificazione dei principi costituzionali. In particolare la loro declinazione nell’ottica dei diritti della persona. Non a caso», fa notare Masi, «si può ben cogliere un’assonanza fra il rilievo assunto dalla legge 300 nel diritto del lavoro e l’importanza della legge sul divorzio nel diritto di famiglia: due snodi in cui è appunto emersa la centralità della persona e l’imprescindibilità della sua tutela. Ed è da qui», secondo la presidente del Cnf, «che lo Statuto dei lavoratori continua a promuovere una consapevolezza diffusa di quanto il diritto al lavoro sia centrale».
Ermanno Baldassarre, consigliere Cnf che coordina la commissione Diritto del lavoro, spiega di aver voluto «rivendicare orgogliosamente il rilievo delle personalità a cui il Consiglio fa riferimento: ecco perché abbiamo voluto organizzare un dibattito con i componenti esterni della nostra commissione — oltre a Notarianni e Farina, gli avvocati Bruno Piacci ed Enzo Morrico — che rappresentano anche la testimonianza delle evoluzioni vissute dallo Statuto in questi 50 anni». Anche le competenze sono dunque beni da preservare, esattamente quanto i principi della legge 300. Così Baldassarre tiene a ricordare tutti gli altri apporti di cui la commissione da lui coordinata si avvale, a cominciare da quello del consigliere nazionale Gabriele Melogli.
E se si vuol comprendere il peso che nella civiltà giuridica va attribuito alla “rivoluzione” condotta d Gino Giugni, si deve ricordare, dice Notarianni, «che la Costituzione richiama sì il principio della dignità, ma non ne fa solo un valore assoluto e astratto: ne sollecita l’affermazione concreta, che va declinata da leggi speciali, come appunto fa, per la dignità del lavoro, il nostro Statuto». Nello specifico, la legge 300, «calmiera i poteri imprenditoriali in modo che non oscurino la sfera dei diritti dell’individuo». E per farlo chiama in causa «la sfera politica collettiva». Ad esempio, come ricorda l’altro componente esterno della commissione Lavoro del Cnf, Bruno Piacci, «con la tutela speciale per chi assume la rappresentanza sindacale». Certo, la stagione in cui l’intensità del “politico” è stata più forte, «fino all’inizio degli anni Novanta» ha coinciso inevitabilmente anche con «la fase più esaltante del diritto del lavoro», incarnata da figure come «il pretore di Milano Romano Canosa. Una causa di licenziamento», ricorda Piacci, «faceva vibrare noi giuslavoristi come avveniva con un processo per omicidio nel caso dei penalisti».
Poi è venuta la crisi della rappresentanza, inclusa quella sindacale, ricordata da Farina. Ma, come dice il terzo dei tre esperti della commissione Cnf intervenuti ieri, Enzo Morrico, «si è anche assistito al passaggio da una tutela contro le discriminazioni imperniata, nello Statuto del 1970, attorno alle libertà politiche, religiose e sindacali, alla legge 903 del 1977, che traduce finalmente quell’impulso nella parità di trattamento fra uomini donne. Fino al decreto legislativo 198 del 2006, alla tutela prevista con la nullità del licenziamento riconducibile al matrimonio e alla maternità». Nonostante gli stravolgimenti della storia e l’evoluzione delle norme, culminata nel Jobs act, lo Statuto trova insomma sempre la strada per irradiare la propria forza a presidio della dignità. E proprio la “eroica resilienza” di quel “gioiello” impone, a 50 anni di distanza, l’impegno ad attuarne ancora i principi.