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C’è un caso zero, a Bibbiano, dal quale tutto, forse, è partito. Un caso di prostituzione minorile accertato, dove la vittima è una ragazzina di 15 anni, costretta dalla madre ad avere rapporti sessuali con uomini adulti. Un vicenda finita con la condanna della donna, proprio grazie all’intervento dei servizi sociali della Val d’Enza, oggi travolti dallo scandalo “Angeli e Demoni”. Gli stessi protagonisti, gli stessi personaggi, ieri ritenuti credibili, oggi, invece, in aula come imputati, accusati di aver strappato i bambini alle proprie famiglie solo per lucrare con affidi non necessari dalla Procura di Reggio Emilia.
Sara - nome di fantasia - vive a Bibbiano, vuole imparare a gestire un negozio e va a scuola. Ma le sue assenze, nel 2012, sono sempre più frequenti, tanto che la scuola si vede costretta a segnalarla ai Servizi sociali. A seguirla è Francesco Monopoli, uno degli assistenti sociali tra gli imputati dell’inchiesta “Angeli e Demoni”. Sara non racconta subito la sua storia: i primi approcci con i servizi lasciano intravedere lo spaccato di una famiglia difficile, nota anche ai Carabinieri per la situazione conflittuale, che non si placa nemmeno dopo la separazione dei genitori. Ma tutto sembra limitarsi a questo. La verità viene fuori solo un anno e mezzo dopo, a ottobre 2013: la psicologa del Servizio famiglia segnala un sospetto abuso, ammesso dalla giovane dopo qualche seduta. E ciò che rivela è raccapricciante: ovvero di essere costretta a prostituirsi dalla madre, per far quadrare i conti a fine mese. Tutto comincia con un annuncio pubblicato su una rivista locale, nella sezione escort, consegnato alla redazione proprio dalla madre, con tanto di carta di identità allegata. Una 18enne di bella presenza, si legge, offre compagnia a uomini e donne italiani, tra i 20 e i 35 anni. La madre guarda la segretaria, giura che non si tratta della ragazzina vicino a lei, lascia l’annuncio pronto per la stampa e va via. Pochi giorni dopo arriva la prima chiamata, la prima di una lunga serie, che fa scivolare Sara in un inferno dal quale non riesce a svincolarsi, legata com’è alla madre da affetto e senso di colpa, incapace di opporsi alle sue richieste. Sono circa venti le persone che incontra, alcune più volte, per un totale di circa 8mila euro. Soldi che Sara consegna sempre alla madre, senza tenere per sé nemmeno uno spicciolo. La regola è una, la stessa che si sente ripetere sin da bambina: «quello che ti chiedono devi farlo». Una regola che le viene imposta anche quando viene costretta ad avere il suo primo rapporto con il fidanzatino, a soli 12 anni.
Solo quando racconta tutto ai servizi sociali, dunque, Sara va via di casa, senza tornarci mai più. A confermare la storia sono le intercettazioni, le testimonianze dei clienti - alcuni dei quali non consapevoli della minore età della ragazza - e, soprattutto, la testimonianza di Sara, il cui racconto, appuntano i giudici in sentenza nel 2016, presenta le caratteristiche di «coerenza, linearità, precisione, assenza di enfatizzazione». Parole supportate, per i giudici, dalle relazioni di Monopoli, della psicologa e della psicoterapeuta della onlus “Hansel& Gretel” Nadia Bolognini, anche lei indagata nell’inchiesta “Angeli e Demoni”. Preziosissimi, secondo il tribunale e la procura, che testimoniano un disturbo post traumatico da stress, provocato da un vissuto molto pesante accompagnato da profondi sensi di colpa. E quelle conclusioni vengono vidimate anche dal consulente della procura che, testualmente, mette nero su bianco la «condivisione di pensiero». Lo stesso consulente oggi utilizzato dalla Procura di Reggio Emilia contro i Servizi sociali. Ma non solo: anche in questo caso, come negli altri casi del “sistema Bibbiano”, i servizi sociali decidono di non dare a Sara i regali spediti dalla madre. «Si trattava di tre completi intimi in pizzo, accompagnati da orecchini vistosi, un profumo e un biglietto con scritto “Sara quando li indossi pensami” - si legge nella sentenza -. Tale atteggiamento sessualizzato e seduttivo della madre nei confronti della figlia era parso talmente inadeguato che i servizi sociali non consegnavano tali oggetti alla giovane». La conclusione dei giudici è lapidaria: la madre di Sara «ha organizzato la prostituzione della propria figlia, allora non ancora sedicenne, facendo leva sul sentimento che la ragazza provava nei suoi confronti, così come descritto dalla stessa» Sara «e dagli esperti che l’hanno in cura». Con lo scopo «di sfruttarne l’attività dal momento che i guadagni derivanti le venivano consegnati». Da quel caso, la Procura di Reggio Emilia parte alla ricerca di un possibile giro di prostituzione minorile, indagando anche tra personaggi facoltosi della Val d’Enza. Un’indagine enfatizzata dai giornali nel 2015 ma della quale, da un certo momento in poi, non si parla più. Se non nei dialoghi intercettati nell’inchiesta “Angeli e Demoni”, quando Francesco Monopoli e Federica Anghinolfi, anche lei assistente sociale, tra le figure chiave dell’inchiesta, condividono il loro sospetto: quello dell’esistenza di una rete di pedofili attiva nella Val d’Enza dalla quale salvare i bambini. «Il gip ha rilevato - aveva sottolineato giorni fa al Dubbio Oliviero Mazza, difensore di Anghinolfi - la preoccupazione seria, da parte dei due indagati, della presenza di una rete di pedofili operante sul territorio. Lo scenario iniziale parla di bambini sottratti per ragioni economiche alle loro famiglie, mentre da qui emerge che i servizi sociali avevano motivo di ritenere che ci fosse un rischio per questi minori. La verità di Bibbiano è ancora tutta da scrivere».