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Matteo Salvini con Giulia Bongiorno
L’imputato Salvini è uscito meglio di come non si poteva dal processo di Palermo. Il leader politico Salvini ne è uscito invece molto meno bene ed è per questo che, con la dovuta discrezione, molti esponenti non leghisti del centrodestra lo danno per prossimo al pensionamento. Un po’ esagerato ma non troppo, perché in effetti se la vittoria giudiziaria è del leader leghista i ricavi politici finiscono per lo più nella cassaforte di Giorgia Meloni.
Non si tratta solo di ripetere alcune ovvietà, peraltro fondate, come la blindatura politica e la centralità nella destra europea che una condanna in primo grado avrebbe garantito all’imputato e che l’assoluzione invece gli toglie. Non che siano finte ma il nodo centrale è un altro. La politica dell’immigrazione di Salvini, quella sul banco degli imputati a Palermo, è già storia di ieri. Archiviata. Superata dalla strategia della premier che è identica negli obiettivi ma sideralmente distante nei mezzi con i quali perseguirli e di conseguenza nel rapporto con l’Unione europea. La sentenza, con l’enfatizzazione che consente sul diritto a difendere i confini, non resuscita la strategia ad alto impatto mediatico ma proprio per questo intollerabile per l’Europa di Salvini. In compenso è un semaforo verde per Giorgia che infatti è subito partita in quarta.
Il vertice di maggioranza di ieri, convocato in pompa magna non con i capipartito ma con tutti i ministri competenti, dà concretamente seguito alla minacciosa promessa della premier di andare avanti come un panzer sul progetto italo- albanese. La sentenza di Cassazione della settimana scorsa è stata letta in modi diametralmente opposti dall’opposizione e dalla maggioranza. La prima l’ha considerata un successo dal momento che conferma la liceità dell’intervento dei magistrati nei casi di rimpatrio accelerato. La seconda si è concentrata sul passaggio che assegna solo al governo il diritto di definire quali Paesi considerare sicuri, consentendo ai magistrati di intervenire solo caso per caso.
La sentenza, così interpretata, si somma al sostegno che il governo italiano ha incassato a Bruxelles parallelamente all’ultimo Consiglio europeo. La lettera sull’immigrazione della presidente von der Leyen coincide tanto letteralmente con il progetto dell’amica Giorgia da autorizzare il dubbio che fosse concordata parola per parola. Ridefinizione dei Paesi sicuri sia per il transito che per il rimpatrio, possibilità di collocare in “Paesi terzi” i centri in cui posteggiare i rimpatriandi. Insomma: la strategia Meloni. La sentenza di Palermo ha coronato il tutto ma spingendo il progetto Meloni- von der Leyen, non quello Salvini. Non a caso Marine Le Pen, politica astuta e Patriota come il capo leghista, si è affrettata a bocciare la strategia italiana in quanto «inefficace». Il governo riprenderà i trasferimenti in Albania dopo il prossimo 11 gennaio, quando entrerà in vigore il decreto che affida alle Corti d’Appello e non più alle sezioni Immmigrazione dei tribunali la decisione sui trattenimenti.
La premier è convinta che il clima europeo, l’assoluzione di Salvini e lo spostamento della decisionalità alle Corti d’Appello renderanno molto più difficili e meno probabili interventi come quelli che hanno vanificato i primi trasferimenti in Albania. È possibile che il duello in punta di di diritto invece prosegua. Sono attese altre sentenze di Cassazione, la presidente von der Leyen si è impegnata a ridefinire con massima precisione il concetto stesso di “Paesi sicuri” nei primi mesi del prossimo anno. Ma anche se il braccio di ferro proseguirà alla fine, grazie al sostegno della Commissione europea e di molti governi europei inclusi alcuni guidati da esponente del Pse, la spunterà la premier.
A farne le spese è un Salvini assolto, santificato, ma tagliato fuori dalla gestione del dossier immigrazione: al vertice di ieri non c’era. I fatti hanno già dimostrato che il ministero dei Trasporti non può essere adoperato allo stesso modo, cioè a fini di pura e facile propaganda. Al contrario, dato lo stato dei trasporti pubblici, da quella postazione il leader leghista perde ulteriormente popolarità invece di conquistarla. Per questo le profezie sul prepensionamento non sono del tutto campate per aria.
Il ritorno al Viminale rovescerebbe il quadro. Salvini tornerebbe centrale sul fronte immigrazione. La sua propaganda fragorosa e ringhiosa avrebbe libero corso. Sostenuto da Elon Musk, cercherà di conquistare la casella chiave ma per i suoi stessi motivi, rovesciati, la premier non ha alcuna intenzione di lasciarlo passare. I rapporti con l’Europa, l’asse con von der Leyen e con il Ppe sull’immigrazione, ma non solo su quella, rischierebbero di franare. Quella porta è chiusa e blindata. Però in politica, e in quella italiana, soprattutto, è consigliabile mai direi mai.