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L'assemblea degli scissionisti del Pd riuniti al teatro Vittoria di Roma, si apre sulle note di "Avanti popolo" cantata dalla voce stridula e nostalgica di Giovanna Marini e intervallata da assoli di chitarra elettrica. Il messaggio è fin troppo chiaro: quelli socialisti sono accordi antichi ma ancora attuali. La seconda immagine è un frammento di Guerre stellari, ed è la scena in cui l'astronave antimperialista risorge dalla sabbia. "Ecco - dice Giuseppe Caldarola, conduttore e moderatore della giornata - quell'astronave è la sinistra e noi siamo qui per riportarla alla luce". Applausi e lacrime sorprese dalla luce in sala. Riposti i fazzoletti, sul palco sfilano i leader ribelli: Enrico Rossi, Roberto Speranza e Michele Emiliano. Speranza è l'uomo della rottura, Emiliano del dialogo e il tutto si svolge col convitato di pietra, il segretario del Pd naturalmente, che non viene quasi mai nominato ma la cui presenza vaga inquieta nel teatro di Testaccio, il quartiere popolare di Roma che la sinistra dem ha scelto per “ricominciare”. Anzi, per ripartire, come spiega Speranza: “Se non si dovessero capire le nostre istanze sarà normale un nuovo inizio. Non come chiusura o stretta identitaria", spiega infatti il deputato lucano quasi a volere prendere un po’ le distanze dell’operazione nostalgia allestita dalla regia. Poi Speranza porge la mano a Renzi: "Si può fare un congresso normale, nei tempi dettati dallo statuto, continuando a sostenere il governo Gentiloni", dichiara dal palco. Ma è una richiesta che ha tutta l’aria di un atto dovuto, perché un minuto dopo è lì a demolire i 1000 giorni del renzismo: “Matteo ha rottamato le persone ma non le idee sbagliate. Non vogliamo un congresso rivincita per il capo arrabbiato”. E prima del finale col botto, Speranza elenca il programma minimo per continuare a marciare uniti: "C'è un governo che deve andare avanti fino alla fine del mandato - dice - e allora si vada avanti, si governi fino al 2018 e si provi a rimettere al centro la questione sociale". Saluti alla platea rossa e bacio accademico di Giuseppe Caldarola che, un minuto dopo, chiama sul palco l’altro leader della minoranza dem, Michele Emiliano. Il governatore pugliese inizia subito con una confessione: “Fino a qualche tempo fa non mi sentivo all’altezza della politica, pensavo che fosse un mestiere per menti sopraffine”. E invece? E invece Emiliano deve aver capito che anche un magistrato (peraltro ancora in carriera) può riuscire a dire la sua nel “teatrino della politica”. Insomma, Emiliano - che aspira alla poltrona di segretario - sceglie la linea e il profilo dell’uomo della società civile capitato lì quasi per caso. Un Trump di sinistra e bonario che elenca i guai della “gente”: la disoccupazione, “che la destra utilizza come arma contro i migranti”, le periferie abbandonate, la povertà crescente, i tagli al welfare. Poi l’attacco a Renzi che ha trattato sindacalisti e insegnanti - “che sono la nostra gente” - come avversari”. Applausi convinti della sala. Infine la virata sull’attualità politica: “Io - spiega - sono convinto che ci siano tutti i margini per evitare questa scissione, ma se la situazione dovesse precipitare voglio dire a tutti che saremo sempre aperti al dialogo, alla riconciliazione”. Insomma, la richiesta è chiara: caro Matteo, fai un passo indietro come fece Bersani quando ti permise di diventare segretario, evita il plebiscito popolare delle primarie e lascia che sia qualcun altro a guidare il partito. Strada complicata ma non impossibile, almeno secondo il Trump di Bari vecchia che chiude con una frase sibillina: “Può essere anche che Renzi si convinca che è meglio non candidarsi più a segretario. Può anche essere...”. Certo, può anche essere, del resto la politica è il regno del possibile, perfino un pm lo ha capito. Sono circa le 14 quando si spegono le luci del teatro Vittoria di Testaccio e non passano neanche 10 minuti per capire "l'effetto che fa". "Sono ultimatum non ricevibili", fa sapere via facebook Lorenzo Guerini, un fidatissimo del segretario che, evidentemente, non parla solo a suo nome. E ancora: "Questa mattina ho sentito toni e parole che nulla hanno a che fare con una comunità che si confronta e discute". Rincara la dose il senatore Andrea Marcucci: "D'Alema ha già scelto la scissione radunando i suoi. Gli altri seguiranno? Sta a voi Emiliano, Rossi, Speranza, decidere". Domani, nel corso dell'assemblea nazionale, sapremo chi seguirà D'Alema.