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A Montecitorio, tutti grillini per un giorno. Il taglio del numero dei parlametari, storico cavallo di battaglia del Movimento 5 Stelle, è legge. Con 553 sì, 14 no e 2 astenuti, la riforma costituzionale che trancia di netto 345 scranni ( 230 Camera e 115 Senato) viene accolta da un applauso proveniente dai banchi pentastellati. Tutti i partiti si sono allineati alla rotta pentastellata: quelli di governo ( Pd, Leu e Italia Viva) come quelli d’opposizione ( Lega, Forza Italia e Fratelli d’Italia).
Si distinguono solo i quattro deputati di Noi con l'Italia e i tre di + Europa che esprimono parere contrario. «Questa riforma è macelleria costituzionale», dice il segretario di + Europa, Benedetto Della Vedova. «Lo diceva anche il Pd e lo diceva Renzi. Solo che noi di Più Europa non abbiamo cambiato idea. Consideravamo questa una mutilazione della Costituzione prima e continuiamo a considerarla tale», aggiunge, girando il coltello nella piaga delle contraddizioni interne alla maggioranza.
Luigi Di Maio, dal canto suo, si gode il momento, ha obbligato tutte le forze politiche a scendere sul suo terreno di gioco e ha vinto. Ora può finalmente esultare. «Questa è una grandissima vittoria del popolo, dei cittadini italiani», commenta il capo politico. «Quando abbiamo iniziato nessuno ci credeva. È una riforma storica che ricorderanno tutti». Tra i grillini, solo Andrea Colletti vota contro. Per il ministro degli esteri è un trionfo.
Tutti, anche quelli più ostili al taglio fino a pochi istanti prima, vogliono apparire nella foto di gruppo e dire “io c’ero”, per non essere esclusi dalla festa. Persino Fratelli d’Italia rivendica il proprio ruolo determinante in questa votazione bulgara.
L’ex alleato dei cinquestelle, Matteo Salvini, da sempre attento a non scontentare gli umori popolari, non è da meno. Annusa l’aria e piazza la bandierina del Carroccio sul traguardo appena raggiunto. «A differenza del Pd e dei 5 stelle, la Lega non tradisce e mantiene la parola», dice, puntando sull’incoerenza altrui.
Il Partito democratico, ostile alla riforma fino al voto precedente, prova a giustificare la giravolta con le parole del segretario Nicola Zingaretti. «Abbiamo deciso di votarlo tenendo fede al primo impegno del programma di governo e anche perché abbiamo ottenuto, così come da noi richiesto, che si inserisca dentro un quadro di garanzie istituzionali e costituzionali che prima non c’erano», dice il numero uno del Nazareno. «Ecco il motivo del nostro sì rispetto al no che avevamo dato qualche mese fa. Ora andiamo avanti per migliorare la vita degli italiani».
Ma per quanto Zingaretti si sforzi a motivare la nuova posizione, nel suo partito i «se» e i «ma» si sprecano. Sono in tanti a dichiarare di aver sostenuto la riforma solo «senso di lealtà» all’alleato, turandosi il naso. «Si metta mano con la stessa lealtà alle altre riforme sottoscritte», dice in Aula Piero Fassino, «Ma rappresentare il taglio come taglio delle poltrone e degli stipendi è devastante», avverte. L’impressione è che un po’ tutti abbiano ceduto su un terreno che sarebbe stato troppo impopolare contrastare.
«Non è una cambiale in bianco» il sì alla riduzione, ma è un primo passo accompagnato da «riforme precise e garanzie, frutto di un lavoro serio e si è trovata una sintesi efficace, che dice semplicemente che le storture che avevamo denunciato e che ci portavano a dire no verranno subito corrette», mette le mani avanti il capogruppo dem alla Camera, Graziano Delrio.
«Tutte le condizioni chieste sono state inserite», assicura. Qualche imbarazzo si avverte anche tra il neo gruppo di Italia Viva. Il più a disagio è Roberto Giachetti, che vota con la maggioranza ma non sostiene lil provvedimento. «Si fa questa riforma per offrire scalpo a istinti peggiori dell’elettorato», si sfoga. «Un tributo alla fabbrica dell’antipolitica. Ma la mia lealtà finisce qui, un minuto dopo sarò al lavoro per raccogliere le firme per chiedere un referendum per dire no a questa riforma», argomenta l’ex radicale.
Per trovare un po’ di dissenso bisogna guardare ai banchi vuoti: mancano ben 25 forzisti, 8 leghisti, 5 grillini e 3 dem, tra cui il neo commissario europeo Paolo Gentiloni.
il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, consegna il suo commento ai social network. «Una riforma che incide sui costi della politica e rende più efficiente il funzionamento delle Camere», twitta il premier. «Un passo concreto per riformare le nostre Istituzioni. Per l’Italia è una giornata storica».
Ma per l’entrata in vigore della riforma bisognerà attendere lo scioglimento delle Camere. Sempre che, nei prossimi tre mesi, non venga presentata richiesta di un referendum confermativo.