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Roberto Giachetti IV, in occasione della seduta straordinaria sulla situazione nelle carceri
Un round va ai garantisti, un altro all’ala rigorista. Nel giro di poche ore la maggioranza offre due volti simmetrici e opposti, sul versante giudiziario: mercoledì sera il sospirato via libera alla legge Zanettin sulle intercettazioni, che ne fissa in 45 giorni il limite di durata ordinario, ieri mattina lo spettacolo poco edificante offerto dall’intero centrodestra, governo incluso, sul carcere, con l’Aula disertata o quasi nel giorno in cui le opposizioni l’avevano convocata per affrontare il dramma del sovraffollamento e la tragedia, anzi la vergogna di Stato, dei suicidi dietro le sbarre.
È così: la giustizia, per il governo di Giorgia Meloni, persevera nella vocazione double face: pregevoli interventi in campo penale, e sul processo innanzitutto, di matrice chiaramente liberale e appunto garantista, quasi sempre scaturiti, come per l’ultimo provvedimento sugli “ascolti”, da iniziative di Forza Italia; a fronte però di scelte discutibilissime sia nella misura (cioè nell’innalzamento) che nell’esecuzione delle pene, e dunque nella politica carceraria, terreno ampio in cui vincono FdI e Lega, Andrea Delmastro e Andrea Ostellari, senza che il guardasigilli Carlo Nordio riesca, neppure con l’aiuto dei berlusconiani, a opporre una linea e una spinta differenti.
È inutile aggrapparsi all’auspicio che il registro possa cambiare nei residui due anni di legislatura ( tanto rischia di rimanere, ormai, considerata la prospettiva descritta dal capogruppo di FI al Senato Maurizio Gasparri nell’ultima riunione a via Arenula, secondo cui, se le Politiche fossero anticipate al giugno 2027, per Natale dell’anno prossimo i giochi sarebbero di fatto chiusi).
Un anno fa, di questi tempi, gli azzurri ci avevano provato: Pietro Pittalis, vicepresidente berlusconiano della commissione Giustizia a Montecitorio, aveva sponsorizzato la discussione sulla liberazione anticipata proposta da Roberto Giachetti e Rita Bernardini. Ieri, sia Pittalis sia gli altri componenti forzisti della commissione Giustizia hanno condiviso col resto della maggioranza l’ampia mozione a prima firma di Carolina Varchi (FdI) che non considera neppure lontanamente uno “sconto di pena”, riepiloga sì una serie di misure e di propositi, ma si rivela insignificante al cospetto della strage dei suicidi in cella.
Si potrebbe pure ricordare la battaglia condotta, a inizio luglio dello scorso anno, da drappello forzista in commissione Affari costituzionali (sempre alla Camera) per mitigare l’abnormità della norma sulle detenute madri, abbandonate alla valutazione del singolo giudice e dunque esposte al rischio di farsi la galera coi figli neonati. Niente da fare anche in quel caso: resa incondizionata di FI, confermata ora al Senato, dove il ddl Sicurezza, che comprende quella norma, è all’esame delle commissioni. Resa ribadita ieri sul carcere, col partito di Antonio Tajani che, dopo una timida campagna estiva di visite negli istituti, si è adeguato in tutto e per tutto al rigorismo propugnato da Delmastro, Ostellari e dal resto della destra intransigente.
E un’ambivalenza che racconta tutte le contraddizioni in cui è ancora imprigionato il centrodestra di governo sulla giustizia. Obbediente a dogmi francamente populisti, spiegabili solo in termini di ansia per il consenso. E però dagli esiti sconcertanti. Perché quando per esempio la maggioranza pretende di slegare i suicidi dietro le sbarre dal sovraffollamento, si macchia di un deprecabile peccato d’ipocrisia. Al di là del fatto che nessuno può dire quanto pesi, nella testa di un disperato, il fatto di dover condividere la cucina- cesso della cella col doppio dei compagni che dovrebbero starci, ci sono dettagli impossibili da trascurare.
Primo, sovraffollamento vuol dire sproporzione irrimediabile fra gli educatori, gli psicologi e i detenuti che, nelle carceri, andrebbero seguiti. Secondo, quando si esclude in modo apodittico lo sconto di pena, cioè la liberazione anticipata di Giachetti (che avrebbe semplicemente ampliato di 30 giorni l’anno l’abbuono già in vigore dai tempi della Torregiani), si sottovaluta ( nella migliore delle ipotesi) che, per un recluso, il semplice fatto di confidare su una nuova norma in grado di assicuragli una libertà avvicinata anche di poche settimane, offre una boccata di speranza potenzialmente decisiva nel trattenere i più fragili dall’abisso suicidario.
Sono banalità comprensibili a un bambino. Il fatto che, da FdI alla Lega e a FI, si faccia finta di ignorarle, è qualcosa di difficile da qualificare con espressioni a prova di querela.
Resta, certo, l’apprezzatissimo sforzo compiuto dai garantisti, che sono in Forza Italia ma che esistono, pur con l’ambivalenza appena descritta, anche nel resto della coalizione, sulle intercettazioni, come avvenuto col voto definitivo di mercoledì sera alla legge Zanettin, sulla separazione delle carriere, su indagini preliminari, tutela della funzione difensiva e degli amministratori oppressi dalla paura della firma (vedi l’abolizione dell’abuso d’ufficio). Ma lo sconsolante pavore sul carcere è così imperdonabile che, se la legislatura finisse oggi, il bilancio della giustizia sarebbe di poco migliore rispetto allo score di un governo guidato dal Movimento 5 Stelle.