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Stefano Parisi non coltiva rancori. «La stagione del berlusconismo va superata», dice. Ma non parla da esule della galassia che orbita attorno al Cavaliere. Ne fa un punto di evoluzione culturale.
«Dobbiamo deberlusconizzare una cosa su tutte: il dibattito sulla giustizia. Passare dall’opposizione tra giustizialisti e garantisti alla rappresentazione corretta, presso l’opinione pubblica, delle vere disfunzioni del sistema giudiziario, delle chiavi per risolverle».
Obiettivo ambizioso, in cui hanno fallito in molti. Il fondatore di Energie per l’Italia ha inventato anche un «think tank post populista, “Pop Up”, che contribuirà a fare luce su temi centrali come l’obbligatorietà dell’azione penale, le carriere in magistratura, il disciplinare del Csm, oggi luogo di valutazioni paradossali, sempre favorevoli alle toghe».
Primo step dell’ambizione di Parisi: l’incontro pubblico su “Fare giustizia” organizzato per mercoledì prossimo a Roma, presso il Tempio di Adriano, con accademici, magistrati, politici che seguono la giustizia «e naturalmente avvocati: ci sarà anche il presidente dell’Unione Camere penali Gian Domenico Caiazza».
I partiti più garantisti, da FI a Renzi, soffrono di un “pregiudizio del secondo fine”? I cittadini snobbano le loro idee garantiste perché vi colgono solo l’ansia di tutelare il leader?
È così. Ma mi permetta di dire innanzitutto che oggi l’allarme si è ulteriormente innalzato.
In che senso?
Non si può ignorare il rischio di una saldatura forte, molto forte, tra due giustizialismi: quello del M5S e quello del Pd. I primi hanno dalla loro parte molta magistratura politicizzata, un giornale, avamposti saldi nell’Anm e soprattutto un’idea chiara e integralista sulla giustizia. Il secondo, il Pd, è stato sotto ricatto un po’ delle Procure, un po’ degli elettori, da cui temeva di essere bollato come fiancheggiatore del Cavaliere. Di fronte ai rischi di una simile saldatura l’unica via d’uscita è appunto deberlusconizzare la giustizia.
Come pensa di riuscirci?
Si deve capovolgere la prospettiva. Basta con l’opposizione tra giustizialisti e presunti paladini del garantismo. Alle persone va spiegato cosa manca al nostro ordinamento giudiziario perché possa apparire davvero moderno. Intanto, per l’incontro su “Fare giustizia” di mercoledì prossimo, abbiamo selezionato esponenti politici tutti concordi su separazione delle carriere, sulla necessità di smascherare l’obbligatorietà dell’azione penale e su una sezione disciplinare del Csm a maggioranza laica. Tanto per essere chiari: è insensato che sui magistrati sospettati di illecito decidano loro colleghi. L’autonomia deve essere accompagnata da un’effettiva responsabilità delle violazioni eventualmente commesse, mentre oggi le valutazioni della disciplinare sono positive per il 93 per cento.
Ma tra la tenaglia formata dall’elettorato giustizialista dei 5 Stelle e da quello vendicativo della Lega, in Italia c’è ancora qualche garantista?
Esiste ancora se superiamo l’approccio basato sull’opposizione garantismo- giustizialismo. Ci si può riuscire. Perché gli italiani sono molto insoddisfatti delle performance del sistema giudiziario. Vanno messi di fronte alla scelta: volete andare avanti con questa roba? Fa parte del comune sentire il peso che incombe sull’attività economica per le incertezze della risposta processuale. Così come è avvertita l’inadeguatezza dell’ordinamento nella risposta all’esigenza di sicurezza, alla criminalità organizzata, alla corruzione. Va ricordata quanto sia stata infruttuosa la politica giudiziaria in questi anni.
Se dovesse citare un errore in particolare?
Qual è stata la ricetta sistematicamente proposta dal legislatore? Innalzare le pene. Ora c’è il rischio che lo facciano anche in materia fiscale. Va spiegato che aumentare le sanzioni è un’opzione devastante. Si intasano i Tribunali e inevitabilmente si accrescono anche tutte le disfunzioni che lasciano i cittadini insoddisfatti.
Meglio dare risposte veloci che degne di un ayatollah.
È chiaro. Come è chiaro che anche la ricetta della Lega è giustizialista, e irrazionale: dicono di voler accorciare i tempi dei processi, poi però intasano comunque il tavolo delle Procure perché, con le loro scelte, tutto è reato.
Altri tabù da sfatare?
Vietare l’appello del pm sull’assoluzione in primo grado non è perdonismo: semplicemente, un livello di giudizio è sufficiente per dire che quella vicenda lì è chiusa. Rispetto alla separazione delle carriere è evidente che oggi abbiamo due parti contro una. Vanno ricordate le migliaia di errori giudiziari, le tante persone rovinate da sciocchezze come gli errori di omonimia.
Quando l’Ucpi ha raccolto le firme in tanti chiedevano: “Ma perché, le carriere non sono già separate?”...
Veniamo da anni di disinformazione sulla giustizia, prodotta dall’alleanza tra giornali e Procure. Noi lanciamo un think tank per contribuire a invertire la rotta. Certo non ci si può riuscire se si resta imprigionati nella logica dei berlusconiani opposti ai giustizialisti.