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«Non cerco l’unanimità, cerco la verità nei rapporti tra di noi». Chiarisce subito i patti con le correnti Enrico Letta nel giorno in cui scioglie la riserva e accetta di bere l’amaro calice, sobbarcandosi la guida del Partito democratico. L’ex premier affida l’annuncio a un video su Twitter a mezzogiorno in punto, allo scadere esatto delle 48 ore di riflessione richieste ai dirigenti dem prima di decidere. E con la stessa puntualità scandisce parole chirurgiche, inequivocabili, ai capi delle varie anime che hanno cotto a fuoco lento Nicola Zingaretti e tutti i suoi predecessori. Parla, Letta, col piglio di chi non decide di gettare il cuore oltre l’ostacolo per poi limitarsi a smistare il traffico di un partito pieno di pirati della strada. Se è tornato dall’esilio parigino, richiamato come riserva di una repubblica dem allo sbando, è per fare il segretario. Nel pieno dei poteri. E con la consapevolezza di chi ha già vissuto con la propria carne il bruciore del fuoco amico. Renziano.
«Parlerò domenica all’assemblea», dice l’ex presidente del Consiglio, «io credo alla forza della parola, al valore della parola. Chiedo a tutti coloro che domenica voteranno di ascoltare la mia parola e di votare sulla base delle mie parole». Nessun applausometro, insomma, come quello che una sera del 2013 incoronò Romano Prodi Presidente della Repubblica in pectore, silurato al mattino seguente da 101 franchi tiratori. Letta pretende di essere ascoltato e votato sulla base di un programma. Divisivo, se serve, ma indispensabile ad «uscire da questa crisi e guardare lontano». «Lo faccio per amore della politica e per passione per i valori democratici», spiega il futuro segretario, postando anche sui social una foto dal Ghetto romano con tanto di citazione : «Non siate indifferenti». Sono parole prese in prestito da Liliana Segre, la senatrice sopravvissuta all’Olocausto, che a sua volta avrà tratto l’ispirazione da Antonio Gramsci e dal suo più che celebre «vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti».
Ma per ricevere piena legittimità politica Letta non si accontenterà del voto in Assemblea. Da lunedì dovrà aprirsi «un dibattito in tutti i circoli», dice. «Chiedo alle democratiche e ai democratici nelle prossime due settimane di discutere, nelle modalità in cui questo oggi è possibile. Poi faremo insieme sintesi e troveremo le idee migliori per andare avanti, insieme». Un argomento in più per togliere frecce all’arco di chi, pur spellandosi le mani per la grande “generosità di Enrico”, continua a invocare un congresso in tempi brevi, declassando di fatto a reggente il futuro segretario.
«Grazie Enrico», scrivono sui social Facebook Dario Franceschini e Andrea Orlando, due azionisti di peso della vecchia e della nuova maggioranza. «Enrico Letta è la persona giusta e corretta per aiutare il Pd a continuare a ricollocarsi come protagonista indiscusso della democrazia in Italia», sottolinea invece il segretario uscente Nicola Zingaretti. «Io avevo preso in mano il partito un anno dopo una sconfitta devastante, che lo aveva marginalizzato e l’ho portato fino a qua. Ora è un partito forte, di governo e protagonista della democrazia italiana», aggiunge, togliendosi ancora qualche sassolino dalla scarpa con i renziani.
Alle correnti del Pd non resta che congratularsi con futuro inquilino del Nazareno e dichiararsi pronte a collaborare. Compresa Base riformista, l’area di Lorenzo Guerini e Luca Lotti, idealmente vicina al leader di Italia viva, che ha contrastato duramente la “gestione” precedente del partito. «Lavoreremo per la ripartenza del Pd nel segno del recupero della sua vocazione originaria: un partito aperto, plurale e di forte impronta riformista», si legge su una nota della corrente. «Non faremo mancare il nostro contributo di idee, proposte e impegno parlamentare e territoriale affinché si apra nel Pd una nuova stagione». La tregua è formalizzata. Almeno per qualche settimana.