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Enrico Letta, segretario dimissionario del Partito democratico
Doveva essere il congresso rifondativo, rischia di trasformarsi in un regolamento di conti interno a colpi di “questione morale”. L’onda lunga del Qatargate si abbatte così su un Partito democratico già provato dal risultato elettorale e in calo di consensi, secondo la maggior parte dei sondaggi. «Pulizia» è la parola usata da ogni candidato segretario, anche se il suono può cambiare a seconda delle bocche. Pazienza se al momento lo scandalo di Bruxelles non tocca tecnicamente alcun eletto dem.
Le persone coinvolte nel giro delle presunte mazzette fanno tutte parte dello stesso album di famiglia (i socialisti europei), è il ragionamento che imperversa al Nazareno, e il fatto che il Pd non sia direttamente coinvolto si trasforma in un dettaglio di secondo piano, perché quanto emerso finora, è il terrore, potrebbe essere solo la punta dell’iceberg. La caccia al marcio è iniziata ed è in questo rito collettivo di espiazione che va in scena il congresso democratico e si trasforma in una corsa al repulisti. Un tutti contro tutti in cui ognuno prova a puntare il dito contro l’altro.
«Quando parliamo di “questione morale”, quelli della mia e delle generazioni precedenti pensano immediatamente ad Enrico Berlinguer e a Benigno Zaccagnini», scrive su Facebook il candidato alla segreteria favorito dai pronostici Stefano Bonaccini. «Questa eredità va ricordata e conquistata ogni giorno, a proposito di identità e valori fondanti. Proprio per questo, oltreché ripulire il nostro partito da quanti non hanno a cuore per prima cosa il bene comune e l'onorabilità dei nostri iscritti ed elettori, è tornato il momento di trasmettere alle nuove generazioni il pensiero e le azioni di Berlinguer, Zaccagnini e di tutte le donne e gli uomini migliori che la nostra storia ha dato all'Italia», sentenzia il governatore dell’Emilia Romagna, invocando la nascita di una scuola di politica e di amministrazione pubblica dem «che possa formare i più giovani sia sui compiti degli amministratori della cosa pubblica, sia sull'etica di come ci si mette davvero al servizio delle cittadine e dei cittadini». E con la scusa di Berlinguer, sotto i riflettori finisce l’intera classe dirigente del Pd, dalla quale evidentemente Bonaccini si sente abbastanza distante da potersi dichiarare estraneo. «Il Pd è in una situazione di oggettiva difficoltà dalla quale si può uscire con un cambiamento radicale dei gruppi dirigenti a tutti i livelli», gli fa eco il sindaco di Firenze e coordinatore nazionale della mozione Dario Nardella.
Ma se Bonaccini può presentare la sua candidatura come un fatto di rottura rispetto a certe dinamiche, a maggior ragione può farlo Elly Schlein, la candidata più giovane e più fuori dagli schemi. Che non a caso parla del Qatargate come di «uno scandalo di dimensioni enormi, vicenda gravissima e anche vergognosa per la sua portata». «La reazione non può che essere la più dura, ferma e rigorosa», dice Schlein, prima di aggiunge: «Non basta l'indignazione, bisogna stringere le maglie dei controlli».
E chissà che a furia di stringere le maglie non restino fuori dalle mura del Nazareno i “compagni” di Articolo 1, i più direttamente interessati dalle vicende giudiziarie, considerata la tessera di partito in tasca ad Antonio Panzeri. Fino a poche settimane fa, l’organizzazione guidata da Roberto Speranza sembrava pronta a confluire all’interno del Pd attraverso la porta “costituente” aperta da Enrico Letta. Ma ora gli schizzi del Qatargate potrebbero compromettere il ritorno a casa degli ex fuoriusciti. Almeno a giudicare dalle parole di Peppe Provenzano, ex ministro per il Sud, vicesegretario del partito, esponente di spicco della sinistra interna e sponsor di Schlein alle Primarie, che non ha usato di certo i guanti bianchi nei confronti di Massimo D’Alema, ex premier Ds e fondatore di Articolo 1. «Vedere ex leader della sinistra fare i lobbisti in grandi affari internazionali non è solo triste, dice molto sul perché le persone non si fidano, non ci credono più», ha detto Provenzano, mettendo nel mirino le porte girevoli tra politica e affari.
Insomma, il regolamento di conti non risparmia nessuno e ognuno prova a distinguersi dal proprio vicino di banco, senza rendersi conto che all’esterno altre forze politiche si son messe a loro volta a sventolare la bandiera della questione morale per brandirla come un randello proprio sul Pd. Come fa Giuseppe Conte che ancor prima di Bonaccini si appropria di Berlinguer e dice a Repubblica: «Già un anno prima dell’intervista con Eugenio Scalfari lo stesso Berlinguer ricordava a l’Unità che la questione morale era diventata “questione politica” perché decisiva per la “ripresa di fiducia nelle Istituzioni”. Il Qatargate ci impone di non nascondere la testa sotto la sabbia». E mentre i dem si fanno la guerra, qualcun altro raccoglie i frutti.