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Il professore Gianfranco Pasquino
Il congresso del Pd entra nella fase più calda e ormai big e correnti hanno scelto il proprio candidato, con riposizionamenti che stanno cambiando, in maniera significativa, la geografia interna del partito. Tra i dati che più sono sembrati rilevanti nell’ultimo periodo è stato quello relativo all’aggregazione intorno a Elly Schlein (la pasionaria che ha l’ambizione di rappresentare il rinnovamento) di vecchie glorie del partito, nonché di big provenienti dalla sinistra. Con lei la truppa proveniente da Articolo 1 che fa ritorno a casa, ma anche Luca Zingaretti e Andrea Orlando, ma pure Ugo Sposetti e Goffredo Bettini.
Abbiamo fatto il punto con il professore emerito di Scienza Politica Gianfranco Pasquino.
Come valuta l’aggregazione “rossa” che si sta formando intorno a Elly Schlein che fa il pieno tra vecchie glorie di Pd e Ds pur volendo rappresentare il nuovo e il rinnovamento del partito?
Fin dall’inizio ho pensato che Stefano Bonaccini non poteva rappresentare una novità, è sempre stato nel gruppo dirigente del partito e non può essere considerato un innovatore. Allo stesso tempo ho sempre pensato che Elly Schlein invece avrebbe potuto rappresentare una novità. Intanto per essere una donna e poi per provenire da un’area coraggiosa, così come si capisce dal nome del suo movimento, e che sarebbe stata in grado di inserire importanti novità nel percorso congressuale. Mi sembra adesso che anche altri la pensano come me. In una certa misura è utile che questo succeda. Naturalmente molto dipenderà dalla stessa Schlein, da come riuscirà a controllare queste nuove adesioni e da come riuscirà a realizzare un cambiamento che può venire soltanto da lei. In ogni caso temo che Bonaccini rimanga ancora favorito.
Insieme alle adesioni rosse anche quelle di veri e propri big che negli ultimi anni hanno avuto in mano le leve, anche organizzative, del partito come Dario Franceschini e Francesco Boccia. Vede un rischio “maionese”?
Guardi a me la maionese piace moltissimo, sempre che non impazzisca. Il partito è quello e non mi stupisce che qualcosa di nuovo vada a mescolarsi con il vecchio. Anzi potrebbe essere anche un elemento positivo. Spetterà a chi deve controllare il processo sapere mantenere il messaggio di novità. E poi siamo sicuri che tra i sostenitori di Bonaccini ci siano tutti questi innovatori? Io non ne vedo tanti.
Vede reali differenze tra i programmi dei candidati alla segreteria? O si andrà verso uno scontro muscolare tra le forze in campo?
Sono molto a favore degli scontri muscolari, ma in realtà vedo il partito molliccio, fiacco e incapace di muoversi in maniera energica. Anche i candidati mi sembrano avere muscoli non sufficientemente allenati e, fin qui, ho sentito poche affermazioni rispetto al tipo di partito che hanno in mente. Ho sentito parlare di lotta alle disuguaglianze, di politiche ambientaliste e di immigrati, ma tutto questo è ciò che fa un governo. Nessuno spiega che tipo di organizzazione del partito ha in mente, né di come strutturarlo. Bonaccini ha detto che non vuole mai più paracadutati, ma personalità che siano espressione del territorio. Bene, ma quali sono e dovrebbero essere i rapporti tra iscritti e circoli? Ci saranno ancora i circoli? E che funzione avranno? Saranno luoghi di incontro e confronto? Schlein vuole un partito aperto e inclusivo, più di sinistra probabilmente, ma non spiega la modalità operativa. Anche De Micheli non dice come vorrebbe cambiare il partito e Cuperlo è da tempo immemorabile all’interno della sua struttura. Ci sono aree del Paese in cui neanche si sente parlare del Pd, c’è l’intenzione di creare circoli per recuperare questa carenza?
Sembra fallita quindi l’idea di realizzare un congresso rifondativo?
Potrebbe ancora esserlo e molto dipenderà dai candidati, ma ancora stiamo aspettando di conoscere le loro idee in questa direzione. Prima di conseguire gli obiettivi bisogna avere chiaro lo strumento con il quale riuscire a conseguirli.
Anche la politica delle alleanze rimane fuori dai temi congressuali. I candidati si limitano a ribadire che il Pd non dovrà andare al governo senza una vittoria alle urne…
Nella democrazie parlamentari si può andare al governo anche senza vincere alle urne. Se il M5S avesse il 25 per cento, il Pd il 20 per cento e insieme ad altre forze raggiungessero la maggioranza, quale sarebbe il problema? Nelle democrazie parlamentari le coalizioni si costruiscono intorno a punti programmatici rilevanti anche a prescindere dai risultati ottenuti alle urne, né è necessario essere il primo partito.
Però il Pd dovrebbe provare a costruire un’alleanza in grado di vincere le elezioni e fin qui non ci è riuscito. Anche alle ultime politiche di settembre la spaccatura con M5S e Azione è stata decisiva…
In realtà il Pd è stato al governo proprio in virtù di una politica delle alleanze dal 2011 fino ad oggi. Non ci sarebbero stati altrimenti né il governo Monti, né il governo Draghi. Credo che il Pd dovrebbe rivendicare con forza il merito di avere fatto arrivare a palazzo Chigi l’uomo di maggiore prestigio possibile che neanche Meloni oggi riesce a smentire. Così come adesso dovrebbe rivendicare il ruolo di asse portante dell’opposizione al governo del centrodestra, opposizione che al momento non esiste proprio a causa di un Pd titubante. Non si sente nessuna critica di rilievo al governo Meloni, perché il Pd è assente, mentre Conte fa il capo populista e Calenda e Renzi inseguono una politica di tipo personale. Il Pd ha provato a mettere insieme le forze del centrosinistra e non ci è riuscito. Magari Letta non è stato bravo, ma anche gli altri devono dare la propria disponibilità perché si costruisca una coalizione.
Stretto tra Azione e M5s il Pd rischia l’irrilevanza, così come avvenuto ai socialisti in Francia? Ha ancora un ruolo da svolgere nella politica italiana?
In una democrazia parlamentare, con legge proporzionale, nessun partito muore mai. In una democrazia presidenziale, con legge maggioritaria, invece, questo può avvenire. Si tratta di una sostanziale differenza per cui il paragone con la Francia non regge. Questo Pd può sopravvivere, ma deve necessariamente cambiare. In realtà il Pd non doveva essere costruito così come è stato costruito, però un partito di quel genere è ancora necessario.