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A i nemici che si ritirano, meglio fare ponti d’oro. Nel caso di Paolo Savona, una poltrona potente nel gotha economico italiano.
Così, il Consiglio dei Ministri ha provato a risolvere con un’unica decisione un triplo ordine di problemi, tutti ingarbugliati insieme. Il primo: la presidenza di Consob ( l’autorità amministrativa indipendente che si occupa di tutela degli investitori e trasparenza del del mercato mobiliare) era vacante da ben quattro mesi, ovvero da quando l’esecutivo gialloverde ha di fatto imposto le dimissioni di Mario Nava, scelto in aprile dal governo Gentiloni. Il secondo: per il posto si stava pericolosamente accreditando il nome di Marcello Minenna, assessore- lampo della giunta Raggi, poco gradito al Colle con cui non sarebbe stato saggio aprire un nuovo fronte di polemica. Il terzo e forse maggiore problema per gli equilibri interni: Savona, da eclissato ministro senza portafoglio per i Rapporti Ue, da dentro l’esecutivo stava silenziosamente allargando la sua sfera di influenza.
Tutti, al governo, infatti, hanno notato il progressivo ammutimento del ministro forse più chiacchierato nella prima fase dell’esecutivo gialloverde. Sponsorizzato dalla Lega, Savona doveva essere il cagnaccio da sguinzagliare in Europa per spaventare gli euroburocrati, ma la sua nomina venne osteggiata e poi fermata da Mattarella. La Lega tenne duro sul suo nome e portò a casa la mezza vittoria di mantenerlo comunque nell’esecutivo, ma con un peso ridotto.
Lo stesso Savona, però, nel tempo si è allontanato dalle successive intese del governo. Intemperante sulle scelte in materia migratoria del governo ( soprattutto rispetto alle polemiche con la Francia). Scettico in modo quasi plateale sul cuore della manovra economica appena approvata (“Per rilanciare l’economia servono investimenti pubblici”, avrebbe ripetuto a tutti, e non aumento di spesa corrente). Di qui i suoi silenzi “per carità di patria”: per non danneggiare l’esecutivo, ma senza spendersi in prima persona per appoggiarlo in scelte da lui non condivise. Poco male se la posizione isolazionista fosse solo sua. Il guaio subdorato in Cdm è che l’anziano economista, che ha navigato placidamente due Repubbliche prima di questa, esercita una silente influenza su altri due ministri, sulla carta ben più quotati di lui: Giovanni Tria e Enzo Moavero - entrambi ministri considerati tecnici e non di primo pelo politico - sono il pubblico privilegiato per le sue riflessioni, sia in materia economica che internazionale.
E allora ecco la quadra: spedire Savona su una poltrona delicata e prestigiosa come quella di Consob, relegandolo però a un ruolo eminentemente tecnico. Del resto, il professore vanta un curriculum inattaccabile: economista specializzato al Mit di Boston, tra i fondatori della Luiss, direttore del Servizio studi della Banca d’Italia, direttore generale della Confindustria, ministro delle Partecipazioni statali nel governo Ciampi tra il 1993 e il 1994, a capo delle Politiche comunitarie con il governo Berlusconi, ma anche amministratore delegato della Bnl e vice presidente di Capitalia.
Tutto perfetto, sulla carta, ma il diavolo si nasconde nei dettagli. Più specificamente, nei dettagli di cui sono lastricate le leggi approvate da chi ora sta all’opposizione. Le incompatibilità, infatti, sarebbero addirittura tre. Per ragioni d’età, dato che la legge Madia prevede che i pensionati possano assumere incarichi direttivi in enti pubblici solo se non retribuiti e per un massimo di un anno ( il mandato in Consob è di 7); perché è membro di un governo, mentre la legge Frattini prevede l’incompatibilità dei membri del governo con altri incarichi in enti pubblici, per un anno dal termine dell’incarico di governo; perché fino a qualche mese fa ha lavorato per il fondo Eukild, fondo finanziario vigilato dalla stessa Consob.
Al governo, intanto, sembra essere tornato il sereno: Salvini twitta orgoglioso che «Paolo Savona è una garanzia» ; i parlamentari 5 Stelle plaudono pubblicamente alla nomina. Da palazzo Chigi - che terrà ad interim le deleghe dismesse da Savona - trapela tiepido ottimismo sulla possibilità di portare a casa la nomina ma la procedura non è breve: l’indicazione di Savona dovrà essere esaminata dalle commissioni Finanze di Camera e Senato, poi dalla Corte dei Conti, e, infine ratificata dal presidente della Repubblica Sergio Mattarella. Per questo le opposizioni annunciano battaglia: i margini per contestare la nomina ci sono, gli estremi per rigirare il dito nella piaga ( soprattutto pentastellata) di aver sposato il malcostume politico delle “porte girevoli” nelle nomine, anche. Lui, Savona, continua nel suo silenzio sornione a godersi lo spettacolo.