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Renzi e i suoi sono certissimi di essere oggetto di un complotto ordito a freddo e preparano le contromosse. L’incubo ha le fattezze dell’asse tra una parte del Pd, i franceschiniani fortissimi specialmente al Senato.
E poi c’è la manifestazione del primo luglio indetta da Giuliano Pisapia. Alcune adesioni, in particolare quelle dei ministri Orlando e Finocchiaro, rivelano che dietro le quinte non ci sarà solo Romano Prodi ma anche Giorgio Napolitano. Artiglieria pesantissima.
«Mattarella da che parte sta? E Gentiloni? », nel quartier generale dei renziani sono queste le domande che circolano. Le frasi d’ordinanza come «Ripartiamo dai progetti» sono fumo negli occhi. La verità è che Renzi e i suoi sono certissimi di essere oggetto di un complotto ordito a freddo e preparano le contromosse. Ma molto dipende da quel dubbio: il presidente della Repubblica e quello del Consiglio stanno con gli assediati o con i cospiratori?
Per tutti, dal segretario in giù, l’equazione «coalizione uguale defenestramento di Renzi» è una certezza. Qualsiasi manovra tiri in quella direzione è vista non come una minaccia ma come un attacco al cuore del renzismo. Finché si tratta di parole sono solo contundenti: quando si dovrà riparlare di legge elettorale, e prima o poi succederà, i voti in aula potrebbero rivelarsi letali. L’incubo ha le fattezze dell’asse tra una parte del Pd, i franceschiniani fortissimi specialmente al Senato, e le componenti di destra favorevoli al maggioritario. Ma se anche fosse evitata la sentenza capitale di una legge elettorale di fatto anti- Renzi, è chiaro che l’offensiva non si fermerà.
La manifestazione del primo luglio indetta da Giuliano Pisapia in piazza Santi Apostoli a Roma ha cambiato fattezze in corso d’opera: non è più il battesimo di una nuova forza di centrosinistra e ulivista, come nel programma iniziale, ma il raduno delle truppe antirenziane, esterne ed interne al Pd. Alcune adesioni, in particolare quelle dei ministri Orlando e Finocchiaro, rivelano che a benedire la crociata, dietro le quinte, non ci sarà solo Romano Prodi ma anche Giorgio Napolitano. Artiglieria pesantissima: se dietro l’operazione ci sono quei nomi significa che c’è anche Bruxelles.
Con nemici di tale calibro la disposizione del Quirinale e di palazzo Chigi sarà forse decisiva. Dunque bisogna verificare la fedeltà di Paolo Gentiloni e c’è un modo solo per farlo: chiedergli di dimettersi in tempo per votare in ottobre, con la legge tedesca, nell’improbabile ipotesi che Renzi e Berlusconi vincano la partita contro il resto del mondo, oppure con la legge che già c’è. In ogni caso con un modello che escluda le coalizioni. Sul tavolo del Nazareno spunta così un piano di battaglia che c’azzecca con le vertigini della fantapolitica molto più che non con il crudo realismo della politica. Si potrebbe offrire proprio al conte Gentiloni la candidatura a premier, in cambio dello scioglimento anticipato delle urne, Mattarella permettendo, e poi forzare sulla composizione delle liste spingendo così orlandiani e franceschinani, visti ormai come componenti organiche della congiura, verso l’uscita. Appena meno fantapolitico il secondo piano per rompere l’accerchiamento e completare la mutazione genetica del Ppd: il cosidetto ' modello Macron' che in realtà con Macron c’entra zero. Macron era un indipendente che, da ministro che era, ha poi deciso di dare vita a un suo partito forte del sostegno proprio di quei circoli europei che, al contrario, di Renzi si fidano pochissimo. La tentazione di Renzi ricorda casomai il caso Sharon in Israele, quando l’allora premier e leader del Likud decise a sorpresa di fare la pace con i palestinesi e, di fronte alle resistenze del suo partito, decise quasi sui due piedi di uscirne per dar vita a Kadima, una formazione che i sondaggi davano per stravincente se prima delle elezioni un ictus non avesse messo fuori gioco per sempre proprio Sharon.
La mossa che considera seriamente Renzi, qualora l’assedio minacciasse di espugnare il Nazareno, è identica: tagliare come usa a Gordio il nodo delle resistenze dando vita a un suo nuovo partito, compiutamente e completamente renziano. Solo che Sharon, all’epoca, era popolarissimo in Israele, cosa che, stando agli esiti delle ultime tre tornate elettorali, proprio non sembra potersi dire di Renzi. Anche questa ipotesi, di conseguenza, sembra poco realistica.
Ma anche se un piano di battaglia vero Renzi ancora non lo ha messo a punto ed evidentemente procede a tentoni, una mossa forte di qui a settembre dovrà farla. Prima che la corda saponata detta legge elettorale gli si stringa intorno al collo.