PHOTO
renzi
No, non c’è la riapertura dell’eterno conflitto tra politica e magistratura. No, non suona la grancassa dell’accanimento giudiziario: anche perché chi ha calcato quella strada non è andato lontano. No, non ci sono sgambetti e entrate a gamba tesa da fare o da restituire. Però Matteo Renzi quel che ha da dire lo dice senza infingimento: «Io credo nella giustizia, nello Stato di diritto, credo nella magistratura, credo nell’avvocatura. Per cui sarà il Tribunale a dire l’ultima parola. Bisogna avere pazienza, credere nel sistema giustizia del Paese e nel fatto che la verità alla fine verrà a galla. Però...».
Però?
«Però mi viene da dire che paradossalmente preferirei che i pm fiorentini che indagano su Open fossero in malafede. Perché se invece di essere in malafede, fossero solo superficiali sarebbe peggio. Ci hanno mandato un avviso di garanzia in cui scambiano la Boschi con Guerini. Per capire le differenze tra Boschi e Guerini non è necessario aprire il codice penale, basta aprire un giornale».
Presidente, lei dice che non è in corso l’ennesimo atto dello scontro tra politica- magistratura. E allora le nuove indagini su Open cosa sono?
«Premetto. Io ho il massimo rispetto della magistratura. E se oggi potessi incontrare uno studente di giurisprudenza come ero io 25 anni fa, gli augurerei di cuore di studiare legge con impegno e dedizione. Poi che faccia il magistrato, l’avvocato o altro non importa. Noi dobbiamo credere nel sistema giustizia di questo Paese.
Quindi nessuna guerra di religione, giù i toni da barricaderi. Anche perché - e ricordarlo è importantissimo - chi utilizza quei toni fa di tutta l'erba un fascio e impedisce un'analisi seria, serena e serrata dei singoli procedimenti, che invece è ciò che secondo me occorre fare in questa fase».
Allora giro la domanda così. Lei ha sostenuto che queste indagini vi hanno arrecato un danno. Dunque, parafrasando Shakespeare, c’è del metodo in quell’iniziativa giudiziaria: finalizzato a cosa?
«Che io sia stato danneggiato e con me Italia Viva è un dato di fatto. Non voglio generalizzare. Ripeto: credo nella magistratura e se non fosse così, se non ci credessi, non avrei promosso 70 azioni di risarcimento danni in sede civile: io mi fido dei giudici di questo Paese. Il punto è che mi piacerebbe che credessero nella magistratura e nel valore dei loro colleghi anche quei pm fiorentini che evidentemente non hanno letto, o non hanno capito, le sentenze della Cassazione sulla vicenda Open. Se le avessero lette avrebbero dovuto fare quella che la Corte definisce “una rigorosa verifica” dei fatti. Invece succede non solo che i pm non fanno la rigorosa verifica ma sbagliano le date per Lotti e Boschi della segreteria nazionale, e confondono la Boschi con Lorenzo Guerini. E pensa se non fossero stati rigorosi».
Insomma quello dei pm fiorentini è un accanimento o una prova, diciamo così, di scarsa professionalità?
«Io credo nel diritto. Credo nella magistratura e nell’avvocatura. Di conseguenza i professionisti di assoluto valore che sono stati incaricati di rispondere nel merito alle considerazioni degli inquirenti avranno modo di interagire nel procedimento secondo le regole di uno Stato di diritto. Per questo non urlo al complotto, non grido. Prendo atto che questa vicenda ci ha danneggiato in modo incredibile. Si pensi solo al danno economico per Italia Viva oltre che nei sondaggi. Avendo la piena consapevolezza che la Fondazione Open non era il Pd: si ricordino le tante polemiche sull’assenza delle bandiere di partito alla Leopolda o relatori poi candidati con altre forze politiche. C’è la necessità di rispondere alle accuse non con un tono ideologico ma nel merito.
Quanto al rapporto tra politica, finanziamento della politica e magistratura, sono intervenuto in aula al Senato il 12 dicembre di un anno fa. Ho detto quel che c’era da dire sulla separazione dei poteri, non ho cambiato idea. In quell’intervento pubblico e trasparente c’è tutto quello che penso sulla gravità della decisione di perquisire i finanziatori di Open. Un atto gravissimo che la Cassazione del resto ha duramente stigmatizzato».
E come si rende trasparente il rapporto tra la politica e i suoi finanziatori?
«Le rispondo così. Si parla di finanziamento illecito ai partiti ma in ballo non ci sono i finanziamenti: c’è l’idea stessa di partito. Un giudice penale vuole decidere come funziona la democrazia di questo Paese.
Questa di cui stiamo parlando non è una indagine sul finanziamento della politica perché è tutto tracciato, bonificato alla luce del sole. E non è neanche l’indagine su un illecito.
Questa è un'indagine su un partito! Quello che i pm stanno cercando di provare non è una dazione di denaro sottobanco. Non esiste alcun fondo illecito. I pm stanno contestando la natura di partito ad una Fondazione. Per cui se loro avessero ragione da domani le forme della politica verrebbero decise dal giudice penale e non dalla libera associazione dei cittadini. I Paesi in cui è il giudice penale a decidere come funzionano i partiti sono Paesi sfortunati. Un fatto enorme. E questo a mio avviso pone una questione sulla separazione dei poteri. Non grido al complotto, porto argomenti che dovrebbero fare riflettere tutti».
Passiamo ai fatti politici. Le faccio una domanda facile. Lei quale colore preferisce: rosso, giallo o arancione?
«Preferisco il verde speranza».
Ironie a parte, la divisione del Paese in tre colori a seconda del contagio Covid la convince?
«Nel momento attuale penso che ci sia da stringere i denti per arrivare al vaccino. Ho preso l’impegno a non commentare, a non contestare, a non criticare ma solo a dare una mano. Questo mi ha portato dopo più di un anno di governo ad andare personalmente a palazzo Chigi ad una riunione di maggioranza perché la situazione è molto seria.
Ormai per il vaccino è questione di settimane e dobbiamo lavorare perché il sistema sanitario regga. Certo, non riesco a capire perché si continui a dire no al Mes. Chi sta in coda ad aspettare i tamponi non si capacita di un diniego così perentorio quanto ideologico».
Bisogna andare sì o no al lockdown nazionale?
«Il governo ha scelto un metodo di lavoro che parte dall'analisi dei dati e dallo schema a tre colori. Rispetto questa scelta e non partecipo a discussioni astratte. La Toscana zona arancione e la Campania no per me è inspiegabile ma prendo atto e vado avanti. Noi rischiamo di affrontare una situazione molto difficile a livello sanitario, ma rischiamo anche di averne una ancora più difficile a livello economico. E i danni di questa pandemia si vedranno sul debito pubblico nel medio periodo. Ora rispettiamo le regole e i criteri del ministro della Sanità, ma intanto lavoriamo sulla strategia per i prossimi mesi».
Quanto la preoccupa il disagio sociale che può trasformarsi in ribellione nelle piazze?
«Mi preoccupa. Però molto di più mi preoccupa il disagio occupazionale che ci sarà nel primo semestre del prossimo anno.
Quando si faranno i licenziamenti allora sì che si determinerà una vera e propria emergenza. L’Italia finora si è comportata bene, i cittadini benissimo. I pochi facinorosi e violenti sono stati già individuati e isolati.
Non mi preoccupa la tensione di piazza. Mi preoccupa, moltissimo, moltissimo, la disoccupazione. Per questo dico: spendiamo subito e bene i soldi del Recovery.
Diamo una visione per i prossimi dieci anni.
Interveniamo subito per sostenere le aziende che porteranno alla ripresa. Dopo una pandemia c’è sempre una ripresa. Ma la ripresa va accompagnata, custodita, “coccolata”. Non può immaginarsi una ripresa che arriva da sola. Spendiamo i soldi del Recovery investendo su quelle filiere produttive che possono avere un futuro.
Siamo un Paese pieno di talenti: investiamo subito e bene. È questa la scelta del tavolo politico che il presidente del Consiglio, e ne sono lieto, ha accolto. Di qui a fine novembre abbiamo tempo tre settimane per capire se sono rose e se fioriranno».
A voi di Italia Viva affibbiano sempre la patente dei rompiscatole. Un po’ le piace...
«Ci criticano nel breve periodo e poi ci danno ragione sul lungo. Se invece di criticarci ci dessero subito ascolto, sarebbe un bene per il Paese. Se il referendum di quattro anni fa fosse andato in porto, molti dei problemi attuali li avremmo superati.
Pensi solo al Titolo V della Costituzione e alla clausola di supremazia sulla sanità regionale. Ma anche alla scuola. Se solo avessimo gestito per tempo i tamponi e i trasporti anziché buttar via soldi sui banchi a rotelle».
Chiudiamo così. Silvio Berlusconi è tornato ad insistere sul tema dell’unità nazionale.
La convince? È tempo di tornare al patto del Nazareno e di allargarlo?
«Trovo molto sagge le parole del presidente Berlusconi. Trovo doveroso per il governo fare di tutto per coinvolgere quanto più possibile le opposizioni. Ma il presidente Berlusconi è il primo a sapere che questa offerta di collaborazione deve essere accompagnata da un atteggiamento diverso.
Non tutte le opposizioni sono Forza Italia; l'atteggiamento di Lega e FdI è ben diverso.
Nel concreto credo che la saggezza di Berlusconi meriti rispetto ma dall’altro lato occorre una disponibilità di tutti. Il presidente Conte per come ci ho parlato mi è apparso desideroso di avviare una collaborazione fattiva con le opposizioni; il segretario del Pd, Zingaretti, ha detto cose impegnative in questo senso. Se si vuole iniziare, è il momento».