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L’aspetto politicamente più interessante delle votazioni sulla Consip non è stato la rinnovata liaison tra Pd e Fi quanto la riconfermata distanza tra Renzi e Mdp: possono giustapporsi, difficilmente allearsi. Il “vinavil” di Prodi e gli sforzi di Pisapia rischiano di essere vanificati.
Sono stati in molti, commentando il voto al Senato sulle mozioni riguardanti la Consip, a sottolineare la convergenza tra Pd e Forza Italia. Non senza ragione. Il tema del rapporto tra i due partiti e soprattutto tra i due leader - Matteo Renzi da un lato, Silvio Berlusconi dall’altro - è infatti al centro degli scenari per una eventuale accordo di maggioranza dopo le elezioni: tutto ciò che avvicina o allontana da quell’esito è dunque oggetto di giustificata attenzione.
Tuttavia mettere sotto la lente di ingrandimento solo l’aspetto da “grande intesa” congiura a far passare in secondo piano un altro elemento che il voto a palazzo Madama ha evidenziato, e che presumibilmente è importante tanto quanto l’altro, se non addirittura di più. Si tratta della divaricazione sempre più accentuata tra Pd e Mdp, con i secondi che hanno presentato un documento fortemente critico nei riguardi del ministro Lotti e con il Nazareno che si è rivolto a Paolo Gentiloni per chiedere una verifica di maggioranza. Termine peraltro desueto, che rimanda dritto alle liturgie politiche della prima Repubblica, ma che proprio per questo squaderna la difficoltà che il passaggio parlamentare ha provocato. Senza contare che si tratta di una richiesta che Gentiloni tratterà con le molle, fino a magari farla cadere. Di fatto, non se capisce l’utilità: se infatti dalla verifica scaturisse che il rapporto con Mdp è impossibile, governo e maggioranza non se risulterebbero certo rafforzati.
In ogni caso, però, guai a considerla solo una necessità dettata dai numeri ballerini al Senato. Il vero nodo politico, infatti, riguarda le dinamiche che possono mettersi in moto a sinistra. Più specificatamente, il voto conferma una volta di più che il dialogo tra Renzi e i fuoriusciti dal Pd non solo è inesistente ma è del tipo tra sordi. Come pure ribadisce che la sinistra che intende compattarsi magari sotto le bandiere di Giuliano Pisapia per presentarsi al vaglio dell’elettorato o è dichiaratamente alternativa alla matrice renziana oppure sempli- cemente non è. Questo per varie ragioni. La prima è di tipo, diciamo, pre- politico ed connotata da una carica dirompente irrefrenabile. Tra coloro che hanno lasciato, infatti, ci sono esponenti che il Pd l’hanno fondato e ne hanno fatto parte con ruoli e responsabilità di primo piano. Dunque delle due l’una. O quella rottura è stata nient’altro che una finta, dovuta a ragioni strumentali e di mera di visibilità: e allora altro che recuperare elettori; piuttosto tanti ancora sceglieranno la via della disaffezione. Oppure, al contrario, la lacerazione è stata vera e profonda: in questo caso immaginare che possa essere suturata con un disinvolto accordo elettorale, un Vinavil appiccicato ad hoc buono per vincere le elezioni ma non certo per governare, è un masochistico non senso.
Insomma il voto delle mozioni sulla Consip ha consentito ancora una volta di misurare la distanza abissale che separa i due tronconi della sinistra, che poi due non sono perché la parte non renziana a sua volta si sfrangia in variegate direzioni. Però il senso politico è chiaro: o la nuova offerta politica si caratterizza su posizioni che segnino una discontinuità netta con il Pd renziano, oppure all’apertura delle urne scatterà inesorabile la logica del voto utile, e per quella fetta di popolo di sinistra che non ama Renzi ma non intende finire grillina, non resterà che votare qualcuno magari anche montellianamente turandosi il naso l’originale e non una sorta di replica più o meno riuscita.
A riprova che le cose stiano così ci sono le parole di Pier Luigi Bersani che di fronte alla richiesta di verifica nella maggioranza usa il sarcasmo ( «Chissà se ci inviteranno...» ), ricordando che in troppe occasione Mdp è stata messa di fronte al fatto compiuto, a scelte decise da altri che dovevano solo essere ratificate. Diversamente da ciò che accade con Berlusconi. «Quando arriva un problema serio o una questione difficile da affrontare - spiega Bersani - preferiscono parlare con Forza Italia. Questa ormai è una cosa evidente. Se dovessero parlare con noi o chiedere il nostro parere dovrebbero modificare qualcosa. Invece, Forza Italia non ha nulla da chiedere in cambio. Solo... l’amicizia». E chissà se la citazione de “Il giorno della civetta” di Sciascia è casuale o no. Sullo sfondo, resta l’estrema difficoltà a federare spezzoni di nomenklatura e di elettorato che dimostrano di non poter essere amalgamati ma al massimo giustapposti. La fetta di Pd renziano, ossai il 70 per cento del partito, non si straccia le vesti. Guarda con soddisfazione le analoghe difficoltà e le medesime logiche divisive che contraddistinguono il centrodestra. Confidando che una volta misurati i rapporti di forza elettorali, ci sia spazio per operazioni politiche che si lascino alle spalle le logiche di appartenenza. E consentano di navigare in mare aperto.