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Bonaccini
E se i voti delle urne si pesassero anche sul piatto del congresso dem? È questa l’idea che comincia a farsi strada tra i dirigenti del Pd emiliano-romagnolo, galvanizzato dal trionfo alle Regionali. Stefano Bonaccini potrebbe essere il candidato giusto per rispolverare l’orgoglio democratico senza aprire troppo le maglie del partito alle esperienze civiche e ai partitini di sinistra, considerati molto più efficaci da alleati esterni al Pd che come ennesima corrente bellicosa. L’Emilia, del resto, non è solo la Stalingrado che argina il salvinismo, è anche una delle poche regioni «che continua a portare in dote al partito un buon numero di tesserati e circoli attivi», ragionano a Bologna. I fasti di Roma e Milano, da questo punto di vista, sono un lontano ricordo. Nella Capitale, come nel capoluogo lombardo, «il Pd è in difficoltà», in Emilia «regge bene». Senza contare il successo personale di un presidente che alle elezioni riscuote molti più voti della somma delle liste a suo sostegno. E a chi fa notare la stranezza di un governatore appena riconfermato, come Bonaccini, candidato anche alla segreteria del partito più importante della sinistra, la risposta è sempre la stessa: «C’è un precedente recente e molto illustre, Nicola Zingaretti». Ma è proprio col segretario in carica che l’attuale presidente emiliano dovrebbe fare i conti. Difficilmente il leader dem lascerebbe il campo senza combattere. E il percorso congressuale è ancora parecchio lungo e impervio. Il confronto interno dovrebbe comporsi di due fasi distinte: la prima, giocata sul terreno dei contenuti (mozioni, tesi, temi) che dovrebbe concludersi entro le prossime Regionali, a ridosso dell’estate; la seconda, da autunno in poi, dovrebbe invece riguardare gli organismi dirigenti. Ed è in questa seconda fase che potrebbe entrare in scena Stefano Bonaccini, mentre nella prima dovrebbe prender corpo l’idea zingarettiana di un partito nuovo, allargato, aperto alle istanze civiche. È in questo primo momento, infatti, che dovrebbero veder la luce i “comitati per la costituente”, libere aggregazioni di cittadini chiamate a fornire contributi al dibattito democratico dall’esterno. La formula di riferimento sarebbe quella che nel 1990 inventò il Pci per trasformarsi in Pds. E di comitati per la costituente, non a caso, parlano in questa fase precongressuale proprio gli esponenti della sinistra dem, sognando un partito se non nuovo nel nome, almeno nella composizione. Lo dice a mezza bocca Andrea Orlando, e lo confida ai compagni più fidati Gianni Cuperlo. Spettatori parecchio interessati al dibattito: gli ex scissionisti di Articolo 1, pronti a rientrare nella casa madre proprio attraverso i comitati paralleli al partito che nelle prossime settimane potrebbero iniziare a convocare iniziative territoriali a supporto del dialogo interno. Ma con le antenne sintonizzate sul Pd staranno anche tutti gli altri soggetti della sinistra, attualmente aggrappati alla speranza Elly Schlein e all’esperienza di Nichi Vendola, ancora incerti sul percorso da intraprendere per il futuro. Se la strategia inclusiva zingarettiana funzionasse, il Nazareno si trasformerebbe in una calamita per tutte le sigle sparse nell’oceano della sinistra italiana. Ma è proprio a questo punto del percorso congressuale che l’ingranaggio del segretario potrebbe incepparsi. Stefano Bonaccini si candiderebbe, infatti, come garante dell’orgoglio democratico svincolato dai condizionamenti radicali. Almeno al suo interno. Perché è proprio questa la visione “vincente” che il governatore vuole portare in dote alla discussione congressuale: il Pd ha la meglio, come accaduto in Emilia, solo se può contare su una stampella esterna partito, una sinistra radicale sì, ma governista il giusto da poter essere considerata indipendente. Su questa linea, sono convinti gli emiliani, Bonaccini potrebbe giocarsi le sue carte, incontrando lungo il percorso più alleati che nemici. Convergerebbero sulla sua candidatura, «non solo i renziani», ostili al ritorno dei dalemiani dopo la scissione, ma anche buona parte dei franceschiniani. Sulle barricate, è la speranza di chi sogna un modenese al Nazareno, resterebbe solo la sinistra interna, isolata e inerme davanti a una aggregazione così forte e variegata. E visto il curriculum di Bonaccini, renziano di percorso, certo, ma figlio della “ditta” per formazione, nessuno potrebbe liquidare la scalata come un’operazione “centrista”, “moderata” o “neorenziana”. Insomma, gli ingredienti per la resa dei conti interna ci sono tutti ma la ricetta non è ancora scritta. Cosa ne verrà fuori è presto per dirlo, ma le cucine stanno per aprire, facendo attenzione che nessuno si bruci un dito.