Decisiva udienza oggi davanti alla Corte di giustizia europea in Lussemburgo: si discuterà infatti del protocollo Italia-Albania. La decisione, attesa nei prossimi mesi, avrà importanti ricadute sulla immagine della politica migratoria del governo e sul rapporto tra politica e magistratura che in questi mesi, proprio su questo tema, è arrivato a livelli molto alti di scontro, tali da portare la maggioranza a spostare dai Tribunali civili alle Corti di Appello la competenza sulla materia.

LA QUESTIONE GIURIDICA

Com’è noto il protocollo, siglato il 6 novembre 2023 e ratificato dal Parlamento italiano con legge 14/ 2024, ha istituito centri per il trattenimento e il rimpatrio in territorio albanese, ma sotto giurisdizione italiana. A Shengjin e Gjader possono essere trattenuti i richiedenti protezione internazionale sottoposti a una procedura accelerata di frontiera, riservata a persone provenienti da Paesi considerati sicuri. Il caso che si discute stamattina riguarda due cittadini del Bangladesh, la cui richiesta di protezione è stata respinta dalla Commissione territoriale di Roma, poiché il Bangladesh è stato disegnato Paese sicuro da un decreto interministeriale del maggio 2024, poi sostituito nell’ottobre successivo dal cosiddetto “dl Paesi sicuri”.

La sezione immigrazione del Tribunale civile di Roma, con due ordinanze di rinvio pregiudiziale, aveva chiesto alla Cgue di rispondere sostanzialmente a quattro domande: il diritto dell’Unione osta a che un legislatore nazionale proceda anche a designare direttamente, con atto legislativo primario, uno Stato terzo come Paese di origine sicuro? Quali garanzie procedurali devono esserci per verificare le fonti usate per questa decisione? Qual è il ruolo delle autorità giurisdizionali nel verificare la situazione del Paese interessato? Un Paese può essere definito sicuro se non lo è per alcune categorie di persone? Stamattina ci sarà la discussione orale, durante la quale interverranno gli avvocati dei due migranti e probabilmente poi saranno esposte anche le osservazioni da parte di alcuni Stati membri della Ue.

Infatti molti governi europei guardano all’esperimento italiano, chi favorevolmente come l’Ungheria, chi contrariamente come la Germania. Tra qualche settimana, l’Avvocato generale presso la Cgue proporrà una soluzione alla questione in piena indipendenza e non vincolante per i giudici europei. La sentenza verrà pronunciata successivamente, probabilmente prima dell’estate, e sarà vincolante per il giudice nazionale. Sul tema dei Paesi d’origine sicura sono pendenti altri rinvii presentati da vari tribunali italiani, tutti sospesi in attesa della decisione su queste cause.

Ne esiste uno datato 6 febbraio 2025 con cui è la Corte di Appello di Palermo, Prima sezione Civile, in composizione monocratica a rinviare alla Cgue. A firmare il provvedimento Angelo Piraino, fino al 2023 segretario generale di Magistratura indipendente, la corrente dell’Anm considerata più vicina alle posizioni dell’Esecutivo. Dunque non una cosiddetta “toga rossa”. Anche la Cassazione ha sospeso la decisione sui ricorsi del Viminale contro i mancati trattenimenti di alcuni migranti inizialmente traghettati in Albania, in attesa di conoscere la decisione della Cgue.

LA QUESTIONE POLITICA

Dietro al dibattito giurisprudenziale sulla dubbia compatibilità della normativa italiana con il diritto dell’Unione europea si gioca, in parte, la politica italiana sull’immigrazione. Solo qualche giorno fa la premier Giorgia Meloni ha dichiarato che il governo non dimentica «l’impegno sulle soluzioni innovative» come «il protocollo Italia-Albania», una soluzione «che è determinato a portare avanti proprio e soprattutto alla luce dell’interesse e del sostegno mostrato da sempre più nazioni europee».

Ma intanto fino ad ora tutti i migranti, poco più di cinquanta, che sono stati portati oltre l’Adriatico sono rientrati dopo 48 ore in Italia perché i giudici nazionali hanno respinto o sospeso i trattenimenti disposti dai Questori. Adesso i centri in Albania sono vuoti e alcuni lavoratori delle società che avevano in gestione alcuni servizi sono stati licenziati, come riferito dal Domani. Il Governo è in pieno stallo.

Al momento il destino dei due centri resta una incognita, come confermato anche dal vice premier Antonio Tajani: «Ancora non c’è niente sull’Albania, non ne abbiamo ancora parlato. Io mi sto preoccupando più delle questioni di guerra, poi vediamo l’Albania». Prima si pensava di trasferirvi i detenuti albanesi reclusi in Italia, come proposto anche da Italia viva, ora si parla di un decreto legge per convertire i due hotspot da centri di prima accoglienza in Cpr. Tuttavia ad ora non circola neanche una bozza. Le priorità sarebbero altre nell’Esecutivo. Dalle opposizioni in Parlamento si è dunque parlato di fallimento del protocollo e di spreco di denaro pubblico, mentre nel governo sono fiduciosi che la Cgue in qualche modo rafforzerà il potere dei singoli Stati di designare direttamente i Paesi sicuri con normativa primaria, limitando molto la discrezionalità dei magistrati.

Per la presidente del Consiglio, «sarà importante su questo fare chiarezza e l’auspicio è che la Corte di Giustizia e l’Unione europea scongiuri il rischio di compromettere le politiche di rimpatrio, non solo dell’Italia ma di tutti gli stati membri dell’Unione europea», aveva ribadito una settimana fa nel suo intervento alla Conferenza dei prefetti e dei questori d’Italia presso la Scuola superiore amministrazione dell’Interno.

Al contrario, all’interno della magistratura sono convinti che la Cgue confermerà, come già stabilito da una direttiva e da una pronuncia del 4 ottobre, il primato del diritto sovranazionale, per cui affinché uno Stato possa essere inserito nella lista bisogna dimostrare l’assenza di persecuzioni, tortura, trattamenti disumani o pericoli a causa di conflitti interni o internazionali; e che per gli Stati dell’Unione possono essere definiti come sicuri solamente i Paesi in cui è presente una situazione di sicurezza su tutto il territorio, senza eccezioni di categorie o di zone.