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di maio draghi
Ora che Giuseppe Conte ha sdoganato Mario Draghi dietro a un tavolino di cristallo piazzato fuori da Palazzo Chigi, la strada per la formazione di un nuovo governo con dentro i pentastellati si presenta in discesa. Il Movimento 5 Stelle, sfiancato e balcanizzato da una crisi politica rapidissima, aspettava un segnale dal suo premier per addolcire il “boccone amaro” del sì all’ex presidente della Bce. E ora che quel segnale è arrivato, la missione pacificatrice di Di Maio e Crimi diventa impresa possibile. Ma non certa. Perché nonostante la disponibilità al dialogo annunciata da Conte, tra i grillini, soprattutto al Senato, non si affievoliscono le polemiche per la remissività mostrata dal gruppo dirigente al tavolo delle trattative con Renzi nei giorni più caldi della crisi.
Il no alla fiducia al buio a Draghi si trasforma così in un moto d’orgoglio identitario che compatta un gruppone di eletti a Palazzo Madama. Terreno fertile per Alessandro Di Battista, capofila della lotta all’uomo «delle élite». Al ministro degli Esteri spetta dunque il compito di spezzare la “resistenza”, offrendo ai ribelli la sensazione di un Movimento protagonista, per nulla arrendevole, pronto a imporre una visione persino all’ex capo della Bce. Il sì a Draghi, raccontano dal quartier generale pentastellato, non sarà affatto gratuito, ma condizionato all’accoglimento nel programma di almeno quattro punti connotanti: No alla riforma della prescrizione targata Bonafede, nessun ritocco sostanziale al reddito di cittadinanza, mai Mes e mantenimento del superbonus. Senza questi paletti, è il messaggio, il Movimento non si accomoderà a nessun tavolo. Richieste importanti, quelle grilline, indispensabili a far uscire il partito a testa alta dalle trattative. Necessarie, soprattutto, per reagire alla mossa del cavallo renziana, che proprio sui temi della giustizia ( prescrizione) e dei sussidi ( reddito di cittadinanza) ha spezzato la corda del Conte due. Mantenere la riforma Bonafede diventa così questione di vita o di morte politica per convincere i vari Nicola Morra e Barbara Lezzi ad abbandonare la barricata degli “irriducibili” e tornare a combattere la crociata anti renziana.
Rispondere all’attacco di Italia viva, in casa 5S, è diventato prioritario. Come prioritario è non rimanere fuori dai giochi per non rompere l’alleanza necessaria con Pd e Leu. È questa la scelta di campo di Di Maio e Conte, convinti che l’equidistanza, la “terza via” grillina, sia ormai una strada impercorribile. Lo scontro politico dei prossimi anni si consumerà tra centrodestra a trazione sovranista e centrosinistra rinnovato dal Movimento, con l’esclusione definitiva di Italia viva dal campo progressista. E per ricompattare il partito su questa nuova prospettiva, al tavolo col banchiere europeista i pentastellati chiederanno anche due posti chiave ( per ora non meglio specificati) nel futuro esecutivo, di cui uno probabilmente riservato allo stesso Conte. Obiettivo: sterilizzare la spinta scissionista di Dibba.
E non è un caso che nel chiedere «maturità» politica al proprio partito, Di Maio abbia “rottamato” Rousseau. «In questa fragile cornice, il Movimento 5 stelle ha, a mio avviso, il dovere di partecipare, ascoltare e di assumere poi una posizione sulla base di quello che i parlamentari decideranno», ha scandito il ministro degli Esteri, pesando attentamente le parole. Un eventuale accordo di governo, dunque, non verrà certificato da un voto online, terreno privilegiato del radicalismo dibattistiano, ma dall’assemblea di Palazzo. Saranno i parlamentari ad assumersi la responsabilità della scelta.
L’epoca dell’uno vale uno e della Rete come unico motore decisionale appartiene a un’era politica lontana, nonostante l’ostruzionismo dei duri e puri, tra cui figurano anche esponenti di peso, come l’ex ministra Lezzi, che solo poche ore prima sentenziava sicura: «Il M5S non voterà la fiducia a Draghi».
L’ex capo politico si mostra fiducioso, lo scetticismo verrà meno grazie alla politica. «Comprendo gli animi e gli umori di queste ultime ore», dice Di Maio a proposito dello scontro in corso. «È legittimo. Stiamo attraversando una crisi politica complessa e non abbiamo colpe», argomenta pacato. «Ma è proprio in queste precise circostanze che una forza politica si mostra matura agli occhi del Paese».
I grillini sono pronti a trattare, le condizioni sono sul tavolo, toccherà al premier incaricato decidere se accoglierle o meno. Sempre che il Movimento non si sbricioli in un cumulo di macerie.