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Da sinistra verso destra Stefano Bonaccini, Paola De Micheli, Gianni Cuperlo ed Elly Schlein
Ma sì l'esercito dei commentatori ha ragione, anche se in questo caso la rampogna è troppo facile. In effetti è improbabile che i potenziali elettori del Pd, e in particolare i transfughi, trovino motivo di nuovo ardore nel dibattito sulla data e le modalità dell'elezione del segretario. Una certa desolazione nello scontro tra il partito dell'on line e quello dei gazebo (conclusosi per inciso con una mediazione molto più favorevole al secondo che al primo dato che avranno diritto di votare da casa in pochissimi) è davvero inevitabile. Solo che quella miseranda disfida è conseguenza di un limite molto più grave e preoccupante.
I candidati si azzuffano su quale modalità di voto scegliere, misurandola sulla convenienza personale, anche perché altrimenti non saprebbero su cosa confrontarsi. Quanto a orizzonte politico e proposte di alleanza sembrano pensarla allo stesso modo. È probabile che al fondo non sia così ma il conformismo e la paura di farsi danno con una parola di troppo piallano e appiattiscono.
Bisogna continuare a inviare armi all'Ucraina, però augurandosi che si arrivi presto alla pace e ci mancherebbe altro. Bisogna difendere il reddito di cittadinanza però riformandolo profondamente sennò se ne approfittano i furbastri e comunque non si interviene sul mercato del lavoro. È d'uopo il salario minimo, anche se quello proposto da Orlando stava sotto il minimo della decenza. I diritti civili sono la bandiera comune ma anche su quelli sociali non ci si distingue: è ora di colmare almeno in parte la diseguaglianza sociale ma senza andare troppo a fondo nell'autocritica. Il solo punto di divisione esplicito, in fondo, poteva essere l'autonomia differenziata.
Peccato che il candidato Stefano Bonaccini la abbia abbandonata di corsa per non giocarsi l'appoggio fondamentale dei governatori del Sud. Insomma chi è in grado di segnalare una differenza non limitata alle sfumature tra i quattro aspiranti segretari, tra Bonaccini, Elly Schein, Gianni Cuperlo e Paola De Micheli, alzi la mano.
Con le alleanze almeno sarà tutt'altro paio di maniche. Macché. Sempre di “campo largo” si tratta. Bisogna allearsi con tutti e poco male se in nome di tale imperativo si finisce, anzi si è finiti, per non allearsi con nessuno. Sempre meglio che scegliere perché per scegliere ci vuole una nave solida e il Pd è una scialuppa fragile in balia dei venti. Zitti zitti e aspettiamo che la tempesta si plachi da sola. Augurandoci senza certezze di esserci ancora, in quel magico momento.
In realtà non è vero che i quattro candidati sono cloni in tutto e per tutto. Una differenza c'è, profondissima e determinate. Hanno idee di partito diverse e a volte opposte. Lo scarto è più che mai marcato tra i due concorrenti che sembrano e probabilmente sono destinati al ballottaggio.
Più strutturata e tradizionale la visione di partito del governatore emiliano, movimentista, “leggera”, quasi erede della “carovana” di Achille Occhetto quella della sua ex vice in Regione. Cuperlo dovrebbe essere più vicino a Schlein che non a Bonaccini ma proprio la concezione più tradizionale del partito lo rende quasi più vicino al goverantore che non a Elly. Con una differenza fondamentale: quello di Bonaccini si profila come un partito
in cui gli amministratori rappresenterebbero la colonna vertebrale mentre Cuperlo è più legato a una visione centralizzata. Anche Paola De Micheli mira un partito vero, non più limitato al “comitato elettorale” ma puntando più degli altri a una centralità reale degli iscritti.
Non si tratta di un capitolo secondario. Forse, anzi, in un partito in cerca di identità non solo come visione politica ma anche come struttura interna è l'aspetto più determinante di tutti. Senza sciogliere quel nodo, trascurato dal Pd sin dal primo vagito, a qualunque dichiarazione d'intenti corrisponderà solo la spartizione di potere tra le correnti. Dunque un congresso giocato essenzialmente sulla definizione del partito non sarebbe affatto inutile. Se il tema fosse reso esplicito e discusso, collegato di conseguenza giocoforza anche a una visione strategica del proprio ruolo.
L'aspetto forse più determinante di tutti, la decisione su quali interessi sociali rappresentare in via eminente, non è ad esempio separabile dalla discussione sulla struttura del partito. O meglio non lo sarebbe se quella discussione ci fosse e anche le differenze reali tra i candidati non fossero confinate nel limbo del non- detto. Invece, messe le cose come effettivamente stanno, resta solo la competizione sull'immagine del nuovo segretario. E naturalmente lo scontro acerrimo tra chi vuole votare sul pc e chi invece pretende che ci si scomodi per recarsi ai gazebo.