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Con la vittoria in Emilia il Pd tira la sua vera prima boccata d’ossigeno, mentre i lunghi coltelli tornano nei foderi. Le elezioni regionali erano un banco di prova non solo per la tenuta del governo ma anche per lo stile della segreteria Zingaretti e l’esame è stato superato: ora la segreteria dem può arrivare più rilassata al congresso straordinario, la cui data potrebbe anche allontanarsi anche per garantirne le migliori condizioni di riuscita. L’obiettivo conclamato, infatti, è quello che meglio si sposa con la tecnica dei piccoli passi zingarettiani: aprire il Pd, tornato “votabile” e a proprio agio nel ritornato bipolarismo, alla galassia di movimenti ed espressioni della società civile. Senza intenzione di inglobarle, ma di renderle permeabili e di fatto federate al “partitone” in stile più classico.
La sfida è più che alla portata dei dem, soprattutto dopo che il modello Emilia ha vinto e ha creato lo stampo da esportare nelle prossime tornate elettorali. A patto, però, che la squadra che ha vinto non cambi e non mutino nemmeno gli equilibri al governo. Questo significa Nicola Zingaretti ben saldo al Nazareno e Dario Franceschini sempre più incastonato negli ingranaggi del governo, ormai vero e proprio vicepremier più che ministro della Cultura. Proprio dalla scrivania dell’erede dei dorotei, infatti, passano tutte le pratiche più intricate sia dell’esecutivo che del partito ( per esempio, la scelta del ministro Gualtieri come candidato alle elezioni suppletive del collegio di Roma, dopo un aspro scontro con i renziani di Italia Viva).
Proprio Franceschini ha chiarito senza appello: «Nicola rimane dov’è, il congresso servirà ad aprire il partito, non a cambiare il vertice». Il tandem Zingaretti- Franceschini è l’asse di ferro su cui si fondano gli equilibri democratici e non accetta interferenze: non quella di Andrea Orlando, che si preparava già alla successione ( progettata già dal momento in cui aveva scelto di non entrare nella lista dei ministri); non quella di Matteo Renzi, che aveva scommesso sulla sconfitta in Emilia e già puntava a federare un Pd spompato e senza guida carismatica.
Il carisma, invece, è stato messo da parte in questa fase. Basta con l’uomo forte al comando, avanti con la forza tranquilla di una squadra rassicurante, poco incline ad alzare i toni e per nulla ossessionata dal comparire mediaticamente. Tutto il contrario della strategia salviniana ma anche da quella che fu di Matteo Renzi.
Per ora, la strada scelta dal tantem al vertice si è mostrata vincente e ha di fatto consegnato al Nazareno la mano vincente anche sul governo: i grillini allo sbaraglio ormai sono senza testa e sbandano, è solo naturale che alcuni di loro guardino al Pd come unico fronte capace di tenere la barra dritta per portare il governo alla fine della legislatura. Eppure, il disegno non è ancora compiuto: rafforzato il Nazareno, ora tocca al governo Conte 2. L’imperativo è che l’esecutivo impaludato ora cominci davvero a governare, cementando l’immagine di affidabilità dell’unico vero partito rimasto. Ovviamente, sotto la guida sapiente di chi, come Franceschini, di governi ne ha visti tanti.