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La speranza è che la pace pur un filo troppo ecumenica dell’Abbazia di San Pastore a Contigliano propizi le riflessioni dei dem.
Il segretario Nicola Zingaretti, fresco di dichiarazione pubblica di voler rifondare il Pd subito dopo il voto in Emilia Romagna, ha riunito qui i vertici del partito per un seminario dal titolo evocativo “Oggi per un domani”. Un modo per discutere del futuro, sì, ma anche per fare gruppo e “pesare” ciò che resta e ciò che è tornato dopo scissioni e rimescolamenti ( da quella dei bersaniani, due anni fa, a quella più dolorosa in termini numerici di Renzi, infine quella di Calenda).
Zingaretti è ben consapevole di quante anime pulsino sotto il velo dell’unità ed è deciso a leggerle una ad una, per arrivare a tracciare la strada migliore verso la sopravvivenza del più grande partito del centrosinistra rimasto in Europa. Eppure, se questa seduta di gruppo per mettere a fuoco la linea politica del partito ( e del governo), per ora le voci rimangono varie e sparse. C’è chi, come Roberto Morassut, da anni parla di cambiare il nomer al Pd e di perdere quella “P” così novecentesca; chi invece, come il tesoriere Luigi Zanda, non ammette che la si perda: «Partito lo prevede la Costituzione per i cittadini che vogliono fare politica e democratico è l’aggettivo più importante che regola la vita delle società».
Più nel merito, un ex renziano come il ministro della Difesa, Lorenzo Guerini, ha sottolineato come il Pd «non deve smarrire la vocazione riformista e maggioritaria», mentre l’ex giovane turco Matteo Orfini chiede di «Stracciare lo statuto per riscrivere regole, non sia solo fuffa». Più interessato alle sorti del governo è, invece, chi per storia politica proprio ai ritiri in Abbazia è abituato. Il ministro della Cultura, Dario Franceschini, ha blidanto l’Esecutivo e l’alleanza coi 5 Stelle rivendicando la novità di questo governo: «Vorrei che la smettessimo con questa idiozia sulla mancata discontinuità. E’ un’offesa. La discontinuità c’è su tutto: sull’Europa, sull’immigrazione, sulla flat tax. Dobbiamo rivendicare la discontinuità», ha tuonato aprendo il convegno, aggiungendo che «con questo governo siamo usciti fuori dalla linearità di un percorso che dovrebbe portare a una alleanza, a una coalizione che si forma prima delle elezioni, con un livello di omogeneità costruito nel corso del tempo. Dal 2011 invece quasi tutti i governi sono nati fuori da questa linearità. Vorrei che questa iniziativa segni un nuovo inizio».
Un nuovo inzio - un’alleanza strutturale, che Franceschini ormai chiede da mesi - piace anche al vicesegretario, Andrea Orlando ( «L’orizzonte è una alleanza politica con M5s, anche dopo il voto. È essenziale che questa alleanza si basi su obiettivi politici» ) ma continua a trovare la freddezza quando non l’aperta opposizione proprio dei grillini, sempre più annaspanti. E poi torna spesso l’annoso problema dell’apertura alla società civile, oggi in piazza con le Sardine ma domani chissà.
Tutte questioni aperte, delicate ma impellenti, da affrontare compiutamente nell’atteso congresso di marzo. Ma pronte ad essere falciate, nel caso in cui l’Emilia tradisse le radici rosse e il Conte2.