C'è lo scontro aspro coi magistrati, ma c'è anche il pragmatismo cui la politica non può mai rinunciare, quell'” arte del possibile” che porta a individuare un punto di caduta nelle situazioni più ingarbugliate. E a quanto pare, Giorgia Meloni ha deciso di far calare la tensione almeno su un paio di fronti, per evitare che i prossimi mesi si trasformino in una guerra di trincea, visto che le ultime mosse di Matteo Salvini lasciano pensare che la presidente del Consiglio dovrà anche tenere la guardia alta sul fronte interno. Così è stata espressa la volontà ufficiale di un “chiarimento” con la Cpi, con la quale lo scontro è arrivato ai massimi dopo la decisione del nostro governo di appoggiare gli Usa sulla vicenda delle sanzioni, ma soprattutto vi sarebbe l'intenzione di sminare un altro terreno su cui ristagna da mesi un conflitto apparentemente senza uscita: la questione dei centri di trattenimento per richiedenti asilo allestiti in Albania.

Come è noto, l'esecutivo non è riuscito ancora a farli funzionare secondo l'idea originaria, avendo avuto tre sentenze sfavorevoli da altrettanti tribunali, di cui l'ultima dai giudici di corte d'appello, che erano subentrarti nella competenza a quelli delle sezioni speciali immigrazione, ritenuti troppo ideologizzati. Non era bastato nemmeno modificare la lista dei paesi ritenuti sicuri, e da questo punto di vista la palla ora è nel campo della Corte Europea, che dovrà esprimersi in materia. L'orientamento appare comunque contrario ai trattenimenti lontano dall'Italia dei migranti salvati in mare, ragion per cui a Palazzo Chigi si è cominciato ad esplorare strade alternative, e lo si sarebbe fatto in una riunione tecnica tenuta lunedì scorso nella sede del governo. L'idea sembra una sorta di “uovo di Colombo”, perché consisterebbe nel convertire – previo decreto legge - i centri per il trattenimento in normali Cpr, al pari dei numerosi presenti sul territorio italiano. La differenza sostanziale sarebbe che nei centri di Gjadër e Shengjin non verrebbero portati migranti intercettati o salvati in mare, bensì quelli già identificati e sulla via del rimpatrio. Un passaggio in più, dunque, che non appare estremamente pratico ma consentirebbe alla maggioranza di negare che l'”operazione Albania” si sia risolta in un fiasco, come stanno invece sostenendo a gran voce tutti gli esponenti dei partiti d'opposizione.

C'è però un ostacolo, e non da poco: l'atteggiamento di Tirana rispetto ad una modifica dell'accordo siglato a Roma nel novembre del 2023. A rigor di logica, la cosa non dovrebbe disturbare più di tanto il premier albanese Edi Rama, visto che la conversione, sul piano pratico e della sicurezza non comporterebbe alcun cambiamento, ma vi sarebbe l'intenzione, da parte italiana, di restituire la giurisdizione dei centri a Tirana, e su questo la disponibilità di Rama è tutta da verificare, visto che il leader albanese deve fronteggiare l'ostilità dell'opposizione e l'appressarsi delle elezioni. C'è però un terreno su cui Rama è sempre molto sensibile a trovare un appeasement col governo italiano, e cioè il dossier per l'adesione di Tirana all'Ue.

Proprio in occasione della firma dell'accordo sui centri di Gjadër e Shengjin, nel suo intervento di fronte a Giorgia Meloni Rama non usò perifrasi per far capire che la sua disponibilità era giustificata in primo luogo dalla necessità di avere una sponda forte a Roma per accelerare l'ingresso nell'Unione europea. Da parte sua, il governo italiano non ha mai mancato occasione per spingere su questo tasto e non a caso proprio ora, nel momento in cui si prospetta all'orizzonte un cambio di rotta, è tornato a sottolineare i passaggi formali e le prese di posizione ufficiali che vanno in questo senso.

Due giorni fa, a Roma, si è tenuta una riunione ministeriale coi paesi dei Balcani Occidentali, con Antonio Tajani padrone di casa, alla fine della quale è stato approvato un documento con delle proposte per accelerare l'adesione dei detti paesi all'Ue. Inutile aggiungere che il riferimento principale è proprio all'Albania, per la quale il nostro ministro ha relazionato a Kaja Kallas, Alto Rappresentante dell’Ue per la politica estera, e a Marta Kos, Commissaria per l’Allargamento. È verosimile che le due vicende vengano trattate dalle due cancellerie come vasi comunicanti e che nelle prossime settimane ci possano essere delle novità, anche perché le opposizioni, in Italia, stanno avendo un buon gioco dialettico nell'evidenziare un flop di Palazzo Chigi. «E' evidente a tutti», ha dichiarato Matteo Renzi, «che in Albania il progetto di Giorgia Meloni è ufficialmente fallito. Rimane da capire per quale motivo abbiamo dovuto pagare aziende albanesi per far crescere il Pil albanese con i soldi pubblici italiani, ma questa è un’altra storia. L’effetto deterrenza è sparito, la grande novità storica non c’è più. Tutto sommato è logico: nel momento in cui non diamo più la caccia ai criminali che trafficano uomini, che anzi coccoliamo con i voli di Stato, il centro migranti in Albania è morto. Peccato», ha concluso, «perché almeno potevamo farci un carcere per i detenuti albanesi attualmente detenuti in Italia come avevo proposto».