C’è una dichiarazione passata sotto silenzio. Assai meno considerata rispetto alle spiazzanti dichiarazioni di Andrea Delmastro raccolte una settimana fa dal Foglio. L’ha rilasciata Andrea Donzelli, big di Fratelli d’Italia che, col sottosegretario alla Giustizia, ha com’è noto un legame di fiducia.

«Basta sentire l’audio: Delmastro», ha fatto notare Donzelli ai cronisti dalle parti di Montecitorio lunedì scorso, «dice che la separazione delle carriere è complessivamente un’ottima riforma: fa un ragionamento su come ci si è arrivati, racconta le diverse opinioni che c’erano sui vari temi. Su alcuni, tutte le forze hanno avuto subito condivisione, come per il sorteggio al Csm, su altri si partiva da posizioni diverse ed è stata fatta un’ottima sintesi».

In pratica, al sottosegretario, al responsabile Giustizia del partito di maggioranza relativa, le frasi riportate sul Foglio non erano “sfuggite”. Non si trattava di considerazioni viziate dal gusto del paradosso, dell’iperbole. «Corrispondono a un discorso sereno e trasparente, che poi è stato utilizzato a fini giornalistici», spiega una fonte di FdI. Delmastro non ha mentito, né “esagerato”. Ha detto cosa pensa davvero. Trova sbagliato sdoppiare il Csm. Fosse per lui, bastava il sorteggio nell’attuale Consiglio superiore unico per stroncare una volta per tutte il correntismo. Dopodiché la scissione fra giudici e pm è un di più che appassiona Carlo Nordio, ma non il sottosegretario che, col guardasigilli, condivide le solenni passeggiate marmoree di via Arenula.

Sembra niente. Ma sono dettagli che dicono tutto. FdI è divisa sulla giustizia. Nordio da un parte, Delmastro dall’altra. Dietro di loro, corpi interni al partito distinti e separati tra «l’avanguardia, che è in sintonia col ministro e una certa retroguardia che invece la pensa piuttosto come Andrea», spiega un’altra fonte parlamentare di FdI nel pieno del trambusto in Aula per il discorso della premier su Ventotene.

Ed è proprio così. «La tendenza all’avanguardia è sempre più forte, cioè si afferma sempre più una visione evolutiva della giustizia, che tiene a consolidare il prestigio della funzione magistratuale ma che proprio per questo crede nella separazione delle carriere. Contemporaneamente diventa più insofferente e reattiva l’altra parte, l’altra linea, che pure c’è al nostro interno, di chi come Delmastro (e, aggiungiamo noi, Donzelli, nda) non condivide quasi nessuno dei provvedimenti messi fin qui in campo in ambito penale». Si spinge a dire, la fonte meloniana che «fosse stato per Delmastro, a via Arenula oggi avremmo non dico Nicola Gratteri, ma certamente una figura capace di interpretare una visione assai diversa da quella di Nordio, una linea intransigente e conservatrice».

Così non deve stupire che Delmastro si sia ostinatamente detto perplesso sulla legge con cui il forzista Pierantonio Zanettin riduce a 45 giorni – «rinnovabili», come tiene sempre a ricordare Maurizio Gasparri – la durata massima per le intercettazioni.

Una legge che ieri sera, dopo qualche rinvio, si è avviata al via libera finale (non ancora pronunciato dall’Aula di Montecitorio al momento di chiudere quest’edizione del giornale), e ha segnato così un’altra importante conquista non solo per i berlusconiani, ma anche per il ministro della Giustizia e per la componente più aperturista di Fratelli d’Italia.

Si tratta di un efficace argine alle cosiddette intercettazioni a strascico, lasciate lì a oltranza nell’attesa che qualcosa prima o poi salti fuori. Un argine del quale però una parte consistente di Fratelli d’Italia, e Andrea Delmastro innanzitutto, avrebbero fatto volentieri a meno.

La domanda è: ma com’è possibile che Giorgia Meloni, capace di definire solo due giorni fa «improcrastinabile» la separazione delle carriere, affida tuttora a Delmastro il dossier giustizia? «Il rapporto di fiducia tra premier e sottosegretario è fuori discussione, il che però non impedisce che vi siano visioni differenti», è la risposta che viene dall’interno di FdI. Delmastro dunque sarebbe espressione di una componente sì solida, dentro il partito, ma minoritaria e, soprattutto, non in totale accordo con le stesse prospettive di Palazzo Chigi, oltre che di via Arenula. Si può dire che Meloni ha, sulla giustizia, l’identico più generale problema che riguarda il personale politico di Fratelli d’Italia: una classe dirigente in parte ancora orientata su una direzione rigorista, conservatrice, da destra tradizionale e intransigente.

E proprio in virtù di un quadro simile, pensare di accantonare una figura come Delmastro non avrebbe molto senso: il sottosegretario rappresenta «un’anima» del partito, come la definiscono le fonti interne, tutt’ora presente, con cui si deve fare i conti. E questo, al di là della fiducia personale che certamente c’è, a prescindere dall’affidabilità di cui Delmastro ha dato

prova negli anni. Di sicuro, è stata la presidente del Consiglio a volere fortemente Carlo Nordio alla Giustizia, perché interpretasse lo spirito nuovo di apertura che Fratelli d’Italia deve interpretare. «Nordio è un ministro di FdI, non è una figura tecnica, esterna», ripetono i meloniani.

Vuol dire che, comunque la battaglia sulla giustizia vedrà, di qui al referendum sulle carriere separate, una FdI compatta e combattiva? «Diciamo che l’ambivalenza fra avanguardia e retroguardia resta», è la risposta. Al punto che non ci rassegnerà al via libera ottenuto da Gasparri nella riunione di una settimana fa con Nordio sulla “nuova” prescrizione e sulle due leggi in materia di intercettazioni, quella sui 45 giorni ormai portata a casa e l’altra sul sequestro degli smartphone? Ecco, qui le fonti offrono una prospettiva meno netta. Ieri avrebbe dovuto tenersi una riunione di entrambi i gruppi parlamentari di FdI proprio con Nordio. Poi gli eventi di Montecitorio l’hanno fatta saltare. Sarebbe stata l’occasione per chiarirsi. Ma almeno sul sequestro dei cellulari e sulla prescrizione, qualche perplessità c’è persino nei settori di FdI annoverabili nell’avanguardia.

Anche perché sono stati proprio Meloni e il sottosegretario alla Presidenza Alfredo Mantovano – vero “padrone del centrocampo”, dentro FdI, sulla giustizia – a spiegare ai loro parlamentari che sì, leggi come quelle in questione, già approvate in uno dei due rami del Parlamento, vanno portate a casa entro la legislatura; ma che va pure considerata la novità della presidenza Anm, la moderazione di Cesare Parodi e l’inopportunità di scelte che, se accelerate, accrescerebbero inutilmente la tensione.

Un equilibrio difficile, com’è difficile capire se si tradurrà in una frenata su quel poco che resta da approvare, carriere separate a parte.

Certo Fratelli d’Italia, sulla giustizia, è assai diversa dal monolite che si potrebbe immaginare.