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Zingaretti e D'Amato
Nelle prossime Regionali, Lazio e Lombardia, sarà in ballo qualcosa in più della già rilevante guida di due territori fondamentali per importanza. Sarà l’ultimo test elettorale prima delle Europee del 2024: i rapporti di forza per la prossima fase della legislatura saranno certificati nelle urne laziali e lombarde. Naturalmente il dato politico rilevante non sarà offerto solo dal risultato del testa a testa tra i candidati: peseranno le percentuali interne alle coalizioni e lo stacco rispetto ai vincitori, soprattutto se a essere sconfitta sarà la sinistra e a maggior ragione perché sono in campo due modelli opposti: l’alleanza con il Terzo Polo contro i 5S a Roma, quella con Conte contro il Terzo Polo in Lombardia.
Nella Regione locomotiva d’Italia una sconfitta del Pd non sarebbe in sé particolarmente scottante, quella per la sinistra è da sempre area off limits, mentre una vittoria, sia pur dovuta solo all’azione di disturbo di Letizia Moratti, sarebbe un trionfo di portata tale da rappresentare quasi una rivincita rispetto alla mazzata di settembre. Il Pd ne uscirebbe rinfrancato e rinvigorito. A torto o a ragione, più a torto che a ragione in realtà, l’insperato successo verrebbe accreditato all’alleanza sbilanciata a sinistra e i riflessi sugli eterni tormenti del Nazareno sarebbero inevitabili.
Nel Lazio le cose stanno diversamente. Perdere una Regione governata da 10 anni è ben diverso dall’essere sconfitti in una da sempre in mano alla destra. Qui, poi, la sconfitta non era affatto scontata in partenza e l’alleanza con il M5S, che nel Lazio è tanto forte quanto debole in Lombardia, avrebbe avuto ottime chances di vittoria, pur senza certezze, anche dovendo scontare la defezione del Terzo Polo che a quel punto, come in Lombardia, si sarebbe presentato da solo. L’impossibilità di chiudere un accordo con i 5S è per il Pd particolarmente grave, nella Regione governata da Nicola Zingaretti, che dell’asse strategico con il partito di Conte era stato il principale sponsor. Quell’alleanza è stata resa impossibile solo dal pomo della discordia rappresentato dall’inceneritore di Roma. È lo stesso problema che ha portato alla crisi del governo Draghi e vanificato in un batter d’occhio il lavoro portato avanti per due anni con l’obiettivo di arrivare alle elezioni insieme. Se le cose andranno come tutti in realtà prevedono e come i primi sondaggi confermano sarà forse il caso di chiedersi se la posta valeva davvero una candela così fiammeggiante.
Sulla carta il M5S non rischia niente. Donatella Bianchi non corre per vincere ma per dimostrare la forza non solo dei 5S ma del polo di sinistra al quale Conte sta cercando di dar vita alleandosi con una lista composta dalla componente di Si che si era staccata dal partito di Fratoianni da prima delle elezioni, quella di Loredana De Petris e Stefano Fassina, raggiunta in extremis, sia pur non ufficialmente, dagli ex compagni di Si schierati con la Bianchi a differenza della metà verde di Asv che invece sosterrà D’Amato. Di fatto sarà il primo vero banco di prova per la svolta a sinistra impressa da Conte e sarà anche un test fondamentale per capire se intorno al M5S può articolarsi e sedimentarsi un polo di sinistra radicale. Altrettanto eloquente sarà il risultato del Terzo Polo, che qui si presenta col Pd liberando quindi i suoi potenziali elettori dal ricatto del voto utile. Ma anche per la destra il risultato sarà interessante. La candidatura di Francesco Rocca è un azzardo.
Nonostante le simpatie per la destra, la sua biografia sarebbe stata adeguata anche a un candidato dell’altro fronte, dato l’impegno civico con la Caritas, nelle Ong in Eritrea e nella Croce Rossa. Infatti molti hanno rimproverato alla premier e leader di FdI di aver scelto un candidato non abbastanza identificabile a destra, ma la prova del Lazio potrebbe invece rivelarsi un passo incisivo nel tentativo della premier di dar vita a una destra con le radici affondate nel Msi di Giorgio Almirante ma rinnovata e legittimata a tutti i livelli come forza trainante di un partito conservatore europeo.
Ma l’incognita principale è comunque quella del Pd. Salvo miracolo a Milano, anzi in Lombardia, il giorno dopo il voto potrebbe trovarsi costretto a fare i conti con una crisi che va molto oltre una sconfitta elettorale. Conti che sinora, nonostante il congresso, ha evitato di fare.