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Nella vita partitica si affaccia il mercato delle tessere i cui pacchetti, corrispondenti ad iscritti inesistenti o forzati o semplicemente favoriti, servono solo a mantenere ed a consolidare l’influenza interna delle nomenklature e dei gruppi organizzati ed a regolare i rapporti tra di loro.
Si tratta il più delle volte di configurazioni oligarchiche che si sono via via formate attraverso processi di selezione interna, ma che sovente si sono trasformate in incrostazioni praticamente quasi inamovibili. Il loro prevalere impedisce il ricambio naturale e dialettico o lo realizza solo per la via obbligata della cooptazione.
La democrazia in questi Partiti è già entrata in una fase di involuzione e di decadenza. Naturalmente questa degenerazione si riflette anche sull’insieme del sistema di finanziamento partitico e dell’attività politica. Già le correnti politiche si erano venute sempre più radicando come correnti anche elettorali e quindi con esigenze di spesa che le spingevano verso una ricerca propria ed autonoma di finanziamento.
Lo stadio negativo ulteriore si veniva poi configurando nella definizione di aree di influenza tanto sulle gestioni amministrative che nella rappresentanza di influenze lobbistiche.
Attorno ad esse si raggruppavano ramificazioni clientelari che fornivano ad un tempo un valido supporto per la rappresentanza elettorale interna ed esterna. Era una mobilitazione di gruppi che si avvaleva, nella sua presentazione pubblica, di formule e proposizioni ideologiche e politiche, ma che in realtà era sempre meno intessuta dei valori propri della ideologia e della politica.
Dal canto suo il fenomeno del tesseramento artificioso costituiva anche un ulteriore fattore di spesa nel contesto delle spese già dilatate per il complesso delle esigenze politiche normali e straordinarie. Vi furono diversi responsabili di Partiti, che resisi consapevoli di questi fenomeni degenerativi, tentarono di organizzarsi per contrastarli. La loro azione non poteva essere disciplinare e di controllo, giacché in concreto una azione di questa natura si presentava praticamente impossibile. Essa si proponeva e ricercava la via di riforme statutarie con lo scopo di porre argini ad una degradazione che veniva assumendo proporzioni ed espressioni sempre più evidenti.
Videro così la luce, in taluni Partiti, riforme statutarie che miravano a ridurre l’influenza dei clan, a limitare l’incidenza del tesseramento irregolare ad accrescere il volume delle entrate ordinarie, ufficiali, legittime e dichiarate attraverso un sensibile aumento delle quote di iscrizione e l’organizzazione di specifiche sottoscrizioni.
Per anni, i Partiti hanno dato mostra di aver regolato la materia del proprio finanziamento attraverso le leggi sul finanziamento pubblico dei Partiti.
Ma la realtà delle cose era ben diversa. Il finanziamento dei partiti ha sempre continuato a mantenere caratteri di irregolarità e di illegalità. Il finanziamento pubblico si riassumeva in una cifra complessiva che non aveva nessun rapporto con le dimensioni reali del problema che si proponeva di risolvere.
Ci voleva una grande dose di disinvolta ipocrisia per credere o far credere che i fondi stanziati dalla legge erano quanto bastava per sorreggere la complessa macchina burocratica e la varietà di strutture e di attività su cui poggiava la democrazia dei Partiti.
La legge veniva violata sistematicamente da tutti o da quasi tutti. Forse qualche gruppuscolo minore aveva le carte in regola e forse, anche in qualche caso tra questi, a ben guardare le cose, la regolarità e la legalità non veniva sempre rigorosamente rispettata.
Diversi gruppi minori venivano poi finanziariamente aiutati dai gruppi maggiori, per ragioni di affinità, di solidarietà, o di mera tattica.
Queste violazioni di legge, su cui in buona parte si è fondato poi il processo di criminalizzazione della democrazia repubblicana, definita come Prima Repubblica, avvenivano sulla base di una complicità e di un consenso pressoché unanimi.
Quale fosse la realtà vera delle cose, almeno nelle sue caratteristiche più tipiche, erano ben consapevoli tutti i dirigenti dei Partiti, i parlamentari, gli amministratori. Ne erano consapevoli certamente le maggiori cariche istituzionali dello Stato nelle quali si alternavano del resto personalità che a loro volta avevano ricoperto impegnative responsabilità politiche e partitiche.
Faccio solo l’esempio dell’ultimo Presidente della camera Napolitano, divenuto poi anche Ministro degli Interni, che, avendo ricoperto per anni l’incarico di ministro degli Esteri del PCI non poteva di certo non essere a conoscenza del fatto che le entrate del suo Partito si componevano anche di flussi finanziari, provenienti dall’URSS e dai Paesi dell’impero comunista e che questi non figuravano certo nei bilanci di Partito presentati al Parlamento.
Faccio l’esempio del Presidente del Senato, il defunto Spadolini, che avendo per anni diretto il Partito Repubblicano, non poteva non sapere che il suo Partito non viveva solo delle quote degli iscritti e delle sottoscrizioni, e che ciò che si aggiungeva di straordinario non figurava puntualmente nei bilanci presentati al Parlamento.
Faccio l’esempio dell’attuale Presidente del Senato Nicola Mancino, tempo addietro Presidente alla Camera e al Senato dei gruppi parlamentari della DC, che in materia di conoscenza del sistema di finanziamento alla DC, dei suoi gruppi e dei suoi parlamentari non era certo a digiuno. Sarebbe far torto alla sua intelligenza ed alla sua onestà.
Faccio l’esempio dell’ex Presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro, eletto per tredici volte deputato della Democrazia Cristiana. Tredici campagne elettorali bastano e avanzano per capire come funzionavano le cose. I precedenti Capi dello Stato a loro volta, pur vivendo lontani dalla politica pratica e dalla gestione diretta dei Partiti vivevano pur sempre al Quirinale che è sempre stato un osservatorio della vita nazionale di non poco conto. Di certo nessuno di loro se ne stava sulla luna.
Nessuno, salvo forse, in qualche caso, qualche voce isolata in Parlamento e nel dibattito politico pubblico, ha per anni, anzi per decenni, aperto porte e finestre su di una questione tanto delicata. La questione era d’altra parte anche scottante e nessuno si è mai voluto scottare.
Non è stata così denunciata con la forza necessaria l’anomalia, la irregolarità, la illegalità complessiva della situazione. Per trovare in uno scritto, una descrizione del fenomeno con relative denunce, a mia memoria, bisogna risalire a molti decenni addietro. Nessuno, che io ricordi, nel mondo politico ha levato la voce e spezzato una lancia per proporre opportuni rimedi al corso delle cose o per aprire una pubblica riflessione sul sistema di finanziamento dei Partiti e delle attività politiche in generale. C’è anche chi lo ha fatto ma mentre lo faceva non diceva la verità perché allo stesso tempo si assicurava contributi, sostegni, finanziamenti.
C’è chi propose come rimedio un aumento del contributo pubblico ma mal gliene incolse e dovette subito zittirsi, travolto da ondate contrarie di demagogico rifiuto.
Sta di fato che i Partiti, pur presentando in Parlamento, per decenni, bilanci che non corrispondevano al vero, e cioè bilanci falsi, non sono mai stati fatti oggetto da parte di nessuno di denunce per le loro gravi irregolarità. I Partiti di opposizione di regola non denunciavano i Partiti di governo e i partiti di governo non denunciavano i partiti d’opposizione. La complicità in questo senso, era totale o quasi. Nessuno ricorda clamorose polemiche al proposito. Forse qualche questione di forma, qualche denuncia di irregolarità, ma mai una vera e propria questione, mai una battaglia in piena regola, un vero e proprio scandalo sollevato con clamore attorno ad un bilancio ritenuto manifestamente falso. Certo mai una Commissione di inchiesta.
Con la sistematica approvazione dei bilanci dei Partiti in Parlamento si veniva approvando in realtà tutta la natura distorta almeno del sistema di finanziamento ai Partiti ed alle attività politiche, e quindi tutti nel contempo, salvo i distratti e i pochissimi eventualmente esclusi, sapevano benissimo di che cosa si trattava.
La democrazia repubblicana approvava il proprio modo di vivere, almeno in questo campo, si assolveva per le violazioni della legge sul finanziamento, e pur essendo consapevole delle irregolarità del sistema preferiva andare avanti per quella strada piuttosto che per mano ad una legislazione più consona tanto eventualmente nel senso di contributi pubblici più adeguati, che nel senso di una maggiore libertà nella raccolta di fondi volontari, che in direzione di un più efficace ed effettivo sistema di controlli.
(continua)