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Punti di forza: è un leader collegiale. Punti deboli: è un leader collegiale. Maurizio Martina, autorevole sfidante di Nicola Zingaretti al congresso del Pd, è distante anni luce dall'immagine del capo “che non deve chiedere mai” ostentata con orgoglio dalle maggiori forze politiche. Prima di prendere una decisione importante ascolta sempre con attenzione chi ne sa più di lui, ne accetta i consigli, gradisce i suggerimenti. Si è comportato così da segretario pro tempore dopo le dimissioni di Matteo Renzi, ma lo ricorda allo stesso modo anche chi lo ha visto guidare la Sinistra giovanile di Bergamo o la Federazione regionale lombarda dei Democratici di sinistra. «Più che un leader è un collaboratore», dice Claudio Armati, oggi iscritto a Mdp, ma una vita trascorsa Pci, Pds, Ds e Pd: da sindaco di Ponteranica e da residente associazione Comuni bergamaschi. «Non è l'uomo che si impone», dice Armati, ricordando un ragazzo più incline al lavoro di squadra che al comando. Eppure Martina rimane in corsa, vuole arrivare al Nazareno col suo stile pacato e sinceramente democratico.
Classe 1978, l'ex ministro dell'Agricoltura nasce il 9 settembre a Calcinate, in provincia di Bergamo, da una famiglia operaia. Un diploma all'Istituto tecnico agrario e una laurea in scienze politiche. Da ragazzino sognava di diventare guardia forestale, divorando i libri di Danilo Mainardi, etolologo e divulgatore scientifico noto al grande pubblico per la collaborazione con Piero Angela. L'attività politica vera e propria di Maurizio Martina inizia da giovanissimo, nel 1994, tra le file del Movimento studentesco, anche se il primo comizio a cui assiste è quello del leghista Roberto Speroni. Il particolare che non deve apparire fuoriluogo per chi è cresciuto nella culla di un Carroccio capace di parlare ai ceti popolari del Nord. E il giovane Martina è molto curioso, già da tempo esprime il suo impegno attraverso il teatro, mettendo in scena spettacoli ambientalisti e antirazzisti per le rassegne scolastiche provinciali. I suoi miti di allora? Chico Mendes, il sindacalista brasiliano assassinato per la sua opera di difesa della foresta amazzonica, e Nelson Mandela. Troppo giovane per aver militato nel Pci, il candidato segretario del Pd ricorda con chiarezza l'anno che cambiò per sempre la sua vita: il 1992, l'anno delle stragi di Capaci e via D'Amelio. Al ragazzino lombardo le immagini di quelle strade sgretolate e di quelle auto squagliate come fossero pezzi plastica suscitano qualcosa di irreversibile. Insieme ad alcuni compagni di classe decide di andare a Palermo e inscenare uno spettacolo sull'attentato che costò la vita a Paolo Borsellino e alla sua scorta. Maurizio recita il ruolo di un agente. «Il 23 maggio ero a Chiusi per il Festival “Ragazzi in gamba”. Pioveva. La notizia della strage di Capaci mi travolse», racconterà nel 2014 a Sette, il settimanale del Corriere della Sera. «Fu una sveglia politica: una chiamata a capire e a impegnarsi di più. L’anno dopo, insieme con i miei compagni di teatro scendemmo in treno a Palermo e mettemmo in scena uno spettacolo sulla legalità per ricordare la strage di Via D’Amelio». Non troppo tempo dopo «scoprii una sezioncina del Pci- Pds chiusa. Con alcuni amici ci mettemmo a lavorare per riaprirla. Non fu facile. Da noi la Dc prendeva l’ 80 per cento. E c’era la valanga leghista. Alla Festa dell’Unità non ci veniva nessuno. Aprivamo la sezione il lunedì sera e all’inizio venivano solo cinque compagni. Giancarlo, il più anziano, ci raccontava la storia del Pci, Berlinguer…».
Le tappe della sua carriera politica seguono un percorso classico: consigliere comunale Mornico al Serio nel 1999; segretario regionale della Sinistra giovanile nel 2002; segretario provinciale dei Ds bergamaschi nel 2004 e segretario lombardo due anni dopo; consigliere regionale nel 2010. Il salto a livello nazionale arriva nel 2013, quando viene nominato sottosegretario all'Agricoltura da Enrico Letta, l'anno successivo viene promosso a ministro dal nuovo premier Matteo Renzi e nel 2016 viene confermato al suo posto da Paolo Gentiloni. Il resto è presente: dopo la batosta elettorale e le dimissioni del segretario, Martina diventa reggente del Pd fino al 17 novembre. Ora ambisce a un mandato pieno, contando su un appoggio trasversale che va da Gianni Cuperlo e a una parte di ormai ex renziani orfani pure di Marco Minniti.