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Il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella al Cimitero di Codogno
Si rivolge a un altro altare. Assai meno imponente e monumentale di quello che si innalza a Piazza Venezia. Sergio Mattarella, nel giorno di festa per la Repubblica da lui presieduta, rende doveroso omaggio alla targa dedicata alle vittime del covid nel cimitero di Codogno. Il comune lombardo del primo contagio accertato. «Da Codogno, dove è iniziato il nostro percorso di sofferenza, vogliamo ribadire i valori della Costituzione, ricordando nuovamente i tanti nostri concittadini morti per il coronavirus e rinnovando grande solidarietà ai loro familiari e alle loro comunità». Sono le parole di un 2 giugno diverso, in cui il presidente della Repubblica esalta «ciò che tiene unito il nostro Paese: la sua forza morale. Da qui vogliamo ripartire. Con la più grande speranza per il futuro». È una giornata colma di commozione. Di onore a chi è stato ucciso dalla malattia, a chi ha perso familiari, a chi si è offerto con tutte le proprie forze per salvare la vita altrui. Prima a Roma, davanti all’Altare vero, la cerimonia senza parata delle massime autorità istituzionali: con Mattarella, il premier Conte, i presidenti di Senato e Camera Casellati e Fico, la presidente della Corte costituzionale Cartabia. Poi appunto poco dopo le 11 l’arrivo del Capo dello Stato nel cuore della Lombardia ferita. «Questo è tempo di un impegno che non lascia spazio a polemiche e distinzioni. Tutti siamo chiamati a lavorare per il Paese, facendo appieno il nostro dovere, ognuno per la sua parte», sono ancora le parole pronunciate da Mattarella. Nella casa comunale di Codogno dove incontra il sindaco Francesco Passerini e, tra gli altri, anche il governatore lombardo Attilio Fontana, il presidente della Repubblica celebra «l’Italia della solidarietà, della civiltà, del coraggio» presente «qui come poche ore fa a Roma all’Altare della Patria». Di fatto il 2 giugno del presidente è un omaggio all’Italia migliore. Al tessuto profondo e forte di un Paese che ha dato un «esempio all’Europa e al mondo». Una comunità di «concittadini» a cui Mattarella tiene a «dire grazie». Forse il cruccio che accompagna il Capo dello Stato nella sua impegnativa festa della Repubblica è il rischio che resti un solco fra quel sacrificio, quella tenuta morale del Paese, e la sua rappresentanza politica. Un distacco grave. Soprattutto rispetto alla capacità di accantonare «polemiche e distinzioni» appunto. Ad attestare l’insensibilità all’appello che il presidente aveva rivolto solo la sera prima è intanto la manifestazione romana del centrodestra. D’altronde lo stesso premier Giuseppe Conte non riesce ad andare oltre - nel messaggio che posta su facebook - un omaggio al «simbolo della Repubblica: non c’è tempesta», scrive, «che possa piegare questa bandiera». Dopodiché il resto è mesta presa d’atto delle divisioni che neppure la tragedia del covid riesce a sanare: «Scacciamo via la tentazione delle inutili rincorse a dividerci e dello spreco di energie nel rimarcare i contrasti in questo momento di grande difficoltà», aggiunge il presidente del Consiglio. Ma sembra obbedire a un obbligo più che essere convinto di farsi ascoltare. Fa riecheggiare ancora quella richiesta di unità venuta dal Colle ventiquattr’ore prima: «La ricorrenza ci restituisce alla memoria una grande testimonianza storica, una prova collettiva di grande coraggio e fiducia, come ci ha ricordato il presidente Mattarella, che assume ancor più rilievo nel momento attuale. Dobbiamo tutti raccogliere l’invito del Capo dello Stato a collaborare, pur nella distinzione dei ruoli e delle posizioni politiche». Ma sembra, davvero, il dettato di un protocollo, più che della fiducia.