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«La flat tax è nel contratto di governo, il contratto si rispetta e come ho già detto si troverà una soluzione». Luigi Di Maio prova a raffreddare gli animi dopo una giornata segnata da nuove fibrillazioni tra alleati. Pomo della discordia, questa volta, la tassa unica per le famiglie, cavallo di battaglia salviniano finito nel mirino del Tesoro prima e della ministra per il Sud, Barbara Lezzi, poi.
La flat tax «è una promessa che non si può mantenere», è la “dichiarazione di guerra” consegnata di prima mattina dalla ministra grillina. «Il nostro Paese non può permettersi 60 miliardi per questa spesa. La Lega sostiene che non si tratti di tale cifra, ma se il Mef ha detto questo, non credo che abbia sbagliato», dice l’esponente pentastellata, mandando su tutte le furie il segretario del Carroccio.
«La Lezzi si occupi delle regioni del Sud che hanno bisogno di qualcuno che lavori a tempo pieno», replica stizzito Matteo Salvini, contestando anche le cifre - 60 miliardi - rilanciate dalla ministra. Barbara Lezzi, infatti, cita numeri attribuiti al Mef, che circolano per alcune ore, secondo cui la proposta della Lega costerebbe quanto manovre economiche, nella peggiore delle ipotesi, 25 miliardi nella migliore.
Il clima diventa così teso che a metà mattinata lo stesso ministro dell’Economia, Giovanni Tria, si sente in dovere di intervenire per smentire le voci sull’esistenza di simulazioni elaborate dal suo dicastero. «Non è stata fatta nessuna stima per una riforma che né io né il Mef abbiamo mai ricevuto» e qualsiasi numero «è destituito di ogni fondamento», interviene categorico Tria per evitare di finire stritolato nella contesa tra alleati di governo. «Ci sono varie ipotesi di flat tax allo studio da luglio, quindi non c’è nulla di nuovo», aggiunge il responsabile dei conti.
La precisazione arriva giusto in tempo per far dire a Salvini che i numeri diffusi dai «giornali hanno l’attendibilità di Topolino», ironizza il ministro dell’Interno, convinto che le coperture per estendere la “tassa piatta” alle famiglie ci siano. «Con una cifra inferiore ai 15 miliardi, quindi poco più di quello che si investe per il reddito di cittadinanza, si dà un aiuto fondamentale alle imprese e alle famiglie», argomenta il vice premier leghista.
Del resto, è il ragionamento salviniano, il governo del cambiamento è nato proprio per stravolgere lo stato di cose presenti. «Penso di avere dimostrato che sull’immigrazione, sulla sicurezza e la lotta alla mafia abbiamo fatto tante cose buone, voglio che in economia si abbiano gli stessi eclatanti risultati», rivendica il titolare del Viminale, mettendo nei fatti sullo stesso livello di difficoltà annunciare la chiusura di un porto e portare a compimento la riforma fiscale.
«Abbiamo fatto il reddito di cittadinanza, quota 100 e come M5S abbiamo già delle proposte che condivideremo con la Lega per abbassare le tasse, questo è l’importante», smorza i toni il leader del Movimento 5 Stelle. «Quel che chiedo è che ogni dichiarazione sia sempre fatta con un principio di verità verso i cittadini, pensiero che sono certo condivide anche la Lega», aggiunge Di Maio.
Ma con le Europee alle porte, difficilmente Salvini ( come gran parte dei leader politici) accetterà di tenere un basso profilo in nome della governabilità. La cura dei rapporti di buon vicinato col socio di maggioranza non porta consensi, e il Carroccio non può permettersi di perdere pezzi per strada. Per fagocitare i voti di Forza Italia e di tutto il vecchio centro destra, Salvini deve apparire irremovibile col M5S sui temi che stanbno più a cuore agli elettori berlusconiani, come la flat tax e grandi opere.
Per cercare nuovi compromessi con Di Maio ci sarà tempo. Ma solo dopo il 29 maggio.