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C’era una volta la sede di partito: ora non ci sarà più, almeno a sinistra. Nicola Zingaretti, neo segretario Pd, ha infatti annunciato che vuole chiudere il Nazareno e “sparpagliarsi” più vicino alle persone. Eppure Botteghe Oscure, Piazza del Gesù e via del Corso sono stati i santuari di Pci, Dc e Psi. Luoghi non solo simbolici dove si celebrava la rappresentazione fisica della struttura- partito. Come De Gasperi espugnò palazzo Cenci- Bolognetti. E quella volta che Togliatti e la Iotti... Nazareno addio, tramonta l’era dei “santuari” della politica che fu
Va bene, d’accordo. Bisogna avvicinare la politica alla gente: all’occorrenza anche fisicamente. Perciò ben venga il co- working al primo piano e la libreria al piano terra. Ben venga la dislocazione, in un altrove ancora indefinito ma non per questo meno suadente, della sede del maggior partito della sinistra. Ben venga l’ukaze del neo leader Nicola Zingaretti: “Dobbiamo sbaraccare il Nazareno e ricostruire, aprire una nuova e bella sede». Per carità, segretario: faccia pure. Però non è possibile reprimere un sospiro d’inquietudine, un sobbalzo dell’anima, un singulto della memoria - che poi è il miglior collante dell’appartenenza - nel vedere che ancora una volta la palingenesi politica colpisce il luogo simbolo dell’immaginario collettivo che va raso al suolo e ricostruito.
E’ impossibile cancellare un retrogusto amaro, un sapore di cenere intinto nella malinconia osservando la voglia iconoclasta di chi ha lavorato con Enrico Berlinguer, e l’ha visto affacciarsi a quel balcone tante volte trionfante fino a quel 21 giugno 1976 per festeggiare l’impensabile e all’epoca assolutamente mitico 34,4 per cento delle elezioni politiche; come pure la camera ardente che per il leader del Pci fu allestita al piano terra del palazzone stile fascista dove perfino Giorgio Almirante si recò a rendere omaggio.
Ma la vita è così, e adesso Zingaretti per dare il senso del cambiamento e del nuovo propone di cancellare e ricollocare la sede stessa del partito. Nazareno addio, dunque. Come diciannove anni fa fu addio a Botteghe Oscure che non era solo l’intelaiatura cementizia dove il Gotha del più grande partito comunista d’occidente, il “sacro” Politburo che non solo annoverava la classe dirigente adorata e inarrivabile di Gramsci, Togliatti, Longo e - appunto, Berlinguer ma era molto più: l’identificazione con la missione salvifica del partito, il tutt’uno di destini, ribellioni, coscienza di classe e “riforme di struttura” di un intero popolo.
Allora come ora per ricominciare daccapo - quella volta la filiera leaderistica annoverava D’Alema, Veltroni e Fassino essendosi Occhetto già inabissato nel 1994 travolto dal Cavalier Silvio Berlusconi - risulta necessario schiacciare il tasto erase direttamente sul frontespizio dell’edificio politico. «Spalancherò porte e finestre per costruire un partito totalmente diverso», taglia corto il governatore del Lazio.
Già. Eppure c’è stata una fase, lunghissima, nella quale la politica era il “Palazzo” ( Pasolini docet): non solo quello del potere mellifluo e opaco, ma anche e soprattutto il luogo dell’anima della militanza, il santuario dell’idem sentire, il segno di riconoscimento di una comunità che soprattutto di simboli e suggestioni viveva. E cosa meglio della “sede del partito” quale testimonianza concreta e tangibile di un afflato unitario per distinguerci “noi” e “loro”; il perimetro della salvazione che segna il confine rispetto ai nemici, estranei e dannati, esclusi dal Castello degli eletti.
Così per decenni, dal dopoguerra all’alba del terzo millennio, il partito è stata la sede e viceversa. Non Pci ma Botteghe Oscure o Bottegone per distinguerlo da versioni più ridotte e già morenti. Non Dc ma Piazza del Gesù, luogo esoterico e terragno al tempo stesso, evocativo nel nome dell’aldilà e del regno dei Cieli ed emblema del fine che giustifica i mezzi nell’aldiqua del regno degli uomini. Non Psi bensì Via del Corso, dominio incontrastato di Craxi e metafora del mai compiuto e alquanto chiacchierato socialismo italiano. Non Pri ma piazza dei Caprettari, stigma della classe dirigente intellettuale e borghese dei La Malfa e dei Visentini. Non Pli ma via dei Condotti, enclave del lusso e delle griffe romane, dove però covava la bonomia d’impronta sabauda di Valerio Zanone e la simpatia timida e coinvolgente di Renato Altissimo, capace di regalare al cronista che era andato a intervistarlo preziosissimi in quanto introvabili pacchetti di Marlboro ( quelle lunghe, of course) nel periodo dello sciopero dei Monopoli. Del resto del tutto volutamente il nesso rappresentativo tra sede di partito e partito stesso fu inscenato dalle Brigate Rosse, che lasciarono il cadavere di Aldo Moro nel bagagliaio della Renault rossa a via Caetani, esattamente a metà strada tra Botteghe Oscure e piazza del Gesù, quale terrifico suggello della “geometrica potenza” terroristica vindice dell’innaturale patto di governo tra democristiani e comunisti. E fu poco distante da lì, con lo speaker del Tg che annunciava: «Ci colleghiamo con la sede repubblicana...» che Ugo La Malfa lanciò il suo anatema verso i rapitori e poi carnefici del presidente Dc: «Miserabbili». Invocando per loro la pena di morte, sortita inaudita per quei tempi.
Ma c’è di più, molto di più. “Il Pci non c’è più, ora è a piazza del Gesù», gridavano i manifestanti della sinistra extraparlamentare, i “gruppettari”, nei cortei di protesta che proprio nella piazza di fronte alla Chiesa di Sant’Ignazio terminavano: una mascariata insultante e definitiva all’indirizzo dei “traditori” della sinistra trasferitisi di stanza nel Biancofiore dei preti e dei forchettoni.
C’è di più, molto di più. Nelle sedi partito via via desertificate dalla degenerazione delle tangenti e l’arrivo di personaggi molto dediti ai loro affari e poco a quelli dello Stato, è racchiusa la storia e l’autobiografia umana e perfino sentimentale di un’intera classe dirigente: a suo tempo vilipesa e ora, chissà, perfino rimpianta. Il Bottegone è stato teatro di fasti e semitragedie, come quando Luigi Petroselli, inarrivato sindaco di Roma, fu colpito da infarto nella sala del Comitato centrale. O come la volta in cui nel 1947 uno dei vigilanti inter- ni avvertì dei rumori lassù, al sesto piano, quello dove nella mitologia della militanza il Partito nascondeva le armi per la sicura ora X dell’addavenì Baffone e dove invece era montata una sirena: d’allarme, non rivoluzionaria. Il vigilante si avvicinò alla porta dietro la quale si avvertivano i rumori, provò ad aprirla senza risultato. Allarmatissimo per la certa presenza di spie reazionarie si precipitò per avvertire l’apparato ma, fortunatamente, fu fermato in tempo. Quello, infatti, era il piano dove Togliatti e Nilde Iotti si appartavano per consumare il loro amore, travolgente e innominabile.
E che dire di piazza del Gesù, sede di palazzo Cenci- Bolognetti, dove nel cortile c’era la pianta di fico «più alta del mondo» - tuttavia sterile: mai un frutto - ad ombreggiare la lapide in ricordo di Alcide De Gasperi «che in questo palazzo con limpida fede e perspicua intuizione guidò la Dc, forza determinante della rinascita democratica italiana». In questo palazzo, ovviamente: e dove altro sennò? E’ lì che scorre la linfa, è tra quelle mura e in quelle stanze che si snoda il destino della principale forza politica del Paese. Vi si impiantò il 5 giugno del 1944 un drappello di Dc doc: oltre a De Gasperi, Mario Scelba, Giulio Pastore, Giorgio Tupini, Piero Campilli. Giulio Andreotti li raggiunse qualche giorno dopo.
Di fronte si ergeva il ben più ampio palazzo Altieri: perché non acquartierarsi lì? «No, meglio piazza del Gesù: trenta stanze bastano per guidare il Paese», replicò De Gasperi. Tipico dell’uomo e della sua morigeratezza leggendaria. Senonché c’è un’altra versione, meno apologetica. La racconta Gerardo Bianco, ex ministro e presidente del Ppi, partito nato sulle ceneri dello Scudocrociato inghiottito nella voragine di Tangentopoli. L’avanguardia dc in effetti aveva tentato di espugnare palazzo Altieri ma gli era andata buca: «Infatti - ha raccontato Bianco - lì stazionava un robusto portiere che li cacciò in malo modo, mente palazzo Cenci era indifeso». Chissà che piega avrebbe preso la storia italiana e quella democristiana se la sede di piazza del Gesù fosse rimasta intonsa.
Comunque sia, all’alba degli anni Duemila il gigantesco vessillo con lo Scudo a forma di croce rossa in campo bianco, venne smontato e messo in soffitta. Nell’opera di smantellamento, ci furono parecchie sorprese. Tipo le venticinque casseforti murate: forse il ricettacolo dei documenti e altro (?!) delle correnti della Democrazia cristiana. Ma quel che più allibì fu il ritrovamento di un cavo telefonico che collegava in maniera diretta piazza del Gesù con Botteghe oscure, una sorta di filo rosso ante litteram, usato chissà da chi e in chissà quali momenti della Guerra fredda. E magari anche dopo.
I notabili democristiani occuparono i primi due piani del palazzo, e in fondo al cortile c’era una scala a chiocciola che portava direttamente all’ufficio stampa: porto di mare obbligato per decine di cronisti politici perennemente alla ricerca di un brandello di notizia.
Ultimo dei grandi partiti del tempo politico che fu, il Psi. Via del Corso era di proprietà dell’Inps ma il Garofano vi ha imperversato per decenni. «Il Palazzo delle Tangenti», venne indicato nel ludibrio generale. Pietro Nenni entrava col basco salutando tutti; Craxi fendeva i questuanti degnando appena di uno sguardo i giornalisti.
Adesso è finito tutto. I fantasmi di chi li abitava sono evaporati. I partiti 2.0 cercano altri spazi, oggi si dice altre location. Magari anche un’anima. In quei corridoi aleggiava.