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In politica, sentire il tempo giusto è uno dei segreti del successo. Maria Anna Madia, detta Marianna, è maestra nel leggere lo spartito.
Alla vigilia del congresso che minaccia di intonare il Requiem del Partito Democratico, silente come solo lei sa rimanere in tempi di burrasca, Madia è approdata nella casa del presidente della regione Lazio, Nicola Zingaretti. Lo stupore per la notizia è durata il tempo d’un sospiro: se c’è qualcuno capace di solcare con grazia il trafficato Nazareno, raggiungendo angoli apparentemente distanti tra loro, è lei. Del resto - nello sfortunato elenco delle donne del Pd, legate a doppio filo a leader uomini e affondate con loro Madia è l’unica ad essere sopravvissuta a tutti i suoi mentori, oltre che alle serpeggianti accuse di raccomandazione. E, dopo dieci anni consecutivi in Parlamento, anche queste potrebbero essere archiviate: per sopravvivere sia durante il sereno che con la burrasca, serve più di qualche santo in paradiso.
Romana, classe 1980, Maria Anna ha tutte le carte in regola per vivere di rendita: il suo è un nobile lignaggio d’origine calabrese e Madia, prima d’essere il cognome di una ministra, era quello del più noto principe del foro della Capitale, deputato del Movimento Sociale Italiano negli anni Cinquanta. Lei, cresciuta nella culla dell’alta borghesia capitolina, ha iniziato a navigare presto le stanze giuste, già dal liceo francese Chateaubriand. Figlia del giornalista parlamentare Stefano Madia - che fu anche consigliere comunale del Pds di Walter Veltroni - sceglie di studiare Scienze politiche alla Sapienza di Roma e, proprio prima della laurea, dà già prova del suo incredibile orecchio per i tempi della politica. Casualmente, nel 2011, partecipa a una conferenza di Enrico Letta. Rimane affascinata dall’eloquio dell’allora dirigente della Margherita e glielo dice di persona, ricevendo in cambio un invito alla Arel, la fondazione ereditata da Beniamino Andreatta. Lei si presenta, puntuale e con una copia del suo curriculum, anticipando di un mese la laurea con 110 e lode. «Se prendi la lode, ti aspetta uno stage», la lusinga Letta, e così è. Proprio tra i muri dell’Agenzia per le Ricerche di Sant’Andrea della Valle, arriva l’incontro che segna la vita politica della futura ministra: quello ( che sfocia in una liason sentimentale) con Giulio Napolitano, figlio di quel Re Giorgio già inquilino del colle più alto. Proprio a Napolitano jr., anni dopo, si attribuirà la paternità della riforma della Pa targata col nome della ministra trentatreenne, che tanto fece arrabbiare il fumantino Renato Brunetta ( che da allora considera Madia una delle sue nemesi personali). Poi, ancora studentessa, completa il suo curriculum con un dottorato di ricerca in economia del lavoro, ( la tesi viene presa di mira dal Fatto Quotidiano, di cui Madia è bersaglio prediletto). E’ ancora la fase di Marianna “la lettiana” - ad oggi unica sopravvissuta della sua categoria - ma nel 2008 è il vecchio amico di famiglia e neosegretario del Pd, Walter Veltroni, a proporle la prima candidatura alla Camera. Viene eletta da capolista nella circoscrizione di Roma, forte della sua «inesperienza politica», frase che incautamente pronuncia e che la inseguirà per gli anni a venire. Allora è inesperta dei media e ancora acerba nell’arte del silenzio ( che la accompagnerà gli anni successivi) e rilascia al Foglio un’intervista esplosiva: antiabortista ( «L'aborto è il fallimento della politica», è per la scelt adella donna ma «ma sono certa che se si offrisse il giusto sostegno, le donne sceglierebbero tutte per la vita» ); anti- eutanasia ( «Io sono cattolica praticante, e credo che la vita la dà e la toglie Dio, noi non abbiamo diritto di farlo» ) e velatamente contraria alle unioni gay ( «Se si parla di famiglia io penso a un uomo e una donna che si sposano e fanno dei figli. Scegliendo per la vita» ).
In Parlamento, lo scranno della neoeletta è vicino a quello del rosso Massimo D’Alema: pur poco incline a stupirsi, il leader Massimo viene però colpito al punto tale da offrirle un posto nel comitato di redazione della rivista Italianieuropei. Eppure per Marianna la fascinazione dalemiana dura poco: il 2013 è l’anno della rottamazione e la romana dai tratti gentili ( ribattezzata “Venere botticelliana” dai renziani) trova spazio tra le fila del sindaco di Firenze, che la sceglie come ministro della Padel suo governo. Interna ma esterna, influente ma defilata dalle linee degli ortodossi, Madia è l’unica ad essersi permessa un breve flirt politico anche con Mario Monti senza subire ripercussioni.
Il suo colore preferito della bandiera dem è il bianco, che lei tinge all’occorrenza per passare da Letta a Veltroni, fino a Renzi e ora Zingaretti. Fino a perdere unica tra le sue colleghe - l’etichetta di “donna di”. Qualcosa che, tra le file dem, è una medaglia al valore.