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Mancano tre giorni, al 3 marzo. Il cielo del Pd si colora degli ultimi fuochi d’artificio dei tre candidati: Martina invita alla concertazione; Zingaretti conferma che non si dimetterà in nessun caso dalla presidenza della Regione Lazio e Giachetti se la prende con l’intramontabile D’Alema. Poi, astenendosi dal totonomi, giocano al totonumeri: Giachetti spera in 700mila elettori, Martina si sbilancia sul milione.
A lanciare l’appello per il voto ai gazebo, poi, è arrivato anche uno dei padri nobili più amati dell’olimpo dem. Romano Prodi, dai microfoni di Repubblica. it, che già si era schierato con Nicola Zingaretti, ha chiamato a raccolta il popolo delle primarie: «Perchè andare a votare? È semplice: l’Italia non va bene, i due partiti al governo non fanno altro che litigare, ci hanno diviso da tutti gli altri amici europei. Adesso, si è visto alle ultime elezioni che l’unica alternativa, l’unico cambiamento può essere dato dal Pd». Servono più votanti possibile, spiega il professore, «per dare sicurezza a colui che sarà eletto nuovo segretario del Partito Democratico. Lui dovrà certamente essere in grado di scegliere le persone che portino finalmente verso un cambiamento» .
Eppure, il clima si sta sempre più scaldando intorno alle primarie forse più incerte del Partito Democratico. Paradossalmente, i due candidati testa a testa viaggiano su binari paralleli e quasi convergenti, mentre il solito Bobo Giachetti non rinuncia a sparigliare le carte. Se Martina afferma che «Se vinco io, segreteria unitaria con Giachetti e Zingaretti» e il governatore del Lazio gli risponde che è d’accordo, «proporrò un livello di direzione politica che non deve annacquare la posizione, però deve far ritrovare a tutti uno spirito unitario», il renziano eretico risponde picche. «Assolutamente no. Noi siamo in una dimensione di confronto di idee e proposte diametralmente opposte. Ed io non credo agli inciuci. Nè nella grande politica, nè nella piccola», risponde Giachetti, che però rassicura sulla sua permanenza tra i dem: «Se dovessi non vincere sto dentro il partito a fare una battaglia di minoranza perchè la mia posizione politica durante tutte queste primarie è distinta, differente e molto distante da quella di Martina».
Non solo, il parlamentare romano - nel videoforum di Repubbica - ritorna su un tema delicato per il Pd post- Renzi: alleanze e scissionisti. «Bersani, d’Alema, Speranza, Emiliano, devo andare avanti oppure mi fermo... Sono usciti, ma vogliono anche rientrare, bussano spesso alle porte e bussano soltanto da una parte», è il commento caustico, che risveglia l’orgoglio degli ex Pd chiamati in ballo. «Roberto Giachetti # staisereno», twitta Nico Stumpo, «Nessuno vuol rientrare nel Pd. Il Pd lo hanno distrutto quelli che hanno fatto politiche sbagliate su lavoro scuola ambiente e costituzione». E Arturo Scotto, di Articolo Uno, parla di «strategia utile a galvanizzare una setta di fan, ma del tutto incomprensibile agli occhi di un cittadino normale. Cita Bersani, D’Alema, Speranza e sostiene che siano i principali responsabili della sconfitta del Pd alle elezioni politiche. Non sottovaluto i miei compagni di partito, ma nemmeno sono portato a sopravvalutarli troppo».
Unico punto saldo, pur con qualche “se” e “ma”, sono le porte chiuse ai 5 Stelle. Giachetti è il più categorico: «Se noi scegliamo da una parte di fare un accordo con il M5s e aprire le porte a chi ha distrutto il partito io tolgo il disturbo». Poi non ha lesinato frecciate al vincitore designato, Zingaretti, reo d’essere il più orientato verso i 5 Stelle, nonostante le smentite ufficiali: «È il gioco della politica: se si leggono le parole del portavoce di Zingaretti, Smeriglio, c’era scritto che si vuole arrivare allo scongelamento con i Cinque Stelle per fare un accordo a livello locale e anche a livello nazionale». Martina ha scelto il distinguo: no ad accordi «tattici» con «un movimento che si è consegnato mani e piedi a Salvini», sì «a discutere degli elettori».
La contesa è calda, con le regionali di Sardegna e Abruzzo il Pd ha scoperto di essere, se non col vento in poppa, almeno a galla e l’apparente crisi dei 5 Stelle regala speranze ai tre candidati. Il prossimo segretario sulla carta Nicola Zingaretti però è bene che si prepari: se non verrà eletto con il 51% dei voti, l’Assemblea sarà sovrana. Probabilmente, ratificherà l’esito delle primarie. Altrettanto probabilmente, garantirà una segreteria da montagne russe.