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Nel Pd sono in molti a essere rimasti letteralmente a bocca aperta quando il segretario Zingaretti, in tv, ha detto che secondo lui la sindaca di Roma Virginia raggi non dovrebbe dimettersi. A molti, anche tra i più convinti della strategia che mira a rendere permanente l'alleanza tra Pd e 5S, è sembrata una concessione eccessiva, dopo anni passati a bersagliare la sindaca pentastellata e a fronte dei risultati disastrosi della sua amministrazione. In realtà proprio l'azzardo di quella inattesa dichiarazione chiarisce quanto per Zingaretti sia di vitale importanza la partita che sta giocando.
Il segretario del Pd sa che alla lunga non riuscirà a giustificare l'alleanza con un M5S molto diverso da quelle remissivo che governava con la Lega se non facendo balenare agli occhi della base e degli elettori la possibilità concreta di vincere le prossime elezioni politiche grazie a un'alleanza stabile con il partito di Grillo e Di Maio. E' anche consapevole di quanto essenziale sia per un governo e per una maggioranza molto fragili uscire bene, o almeno non troppo male, dal ciclo di regionali che si aprirà il 28 ottobre con le elezioni in Umbria. Anche perché un esito negativo del test delle regionali renderebbe non percorribile la strada del maggioritario, dal momento che affonderebbe le chances della coalizione M5S- Pd, e dovendo ripiegare sul proporzionale la strada diventerebbe tutta in discesa per il guastatore Matteo Renzi.
Dunque Zingaretti ha bisogno come dell'ossigeno di stringere l'alleanza con i 5S ovunque nelle regionali ora, e poi nelle elezioni politiche quando arriveranno. Ma sa che per lo stesso Movimento il passo non è facile, contrastato com'è da una parte della base che fatica a lasciarsi alle spalle dieci anni spesi tutti nel bersagliare il futuro alleato e con dirigenti di primo piano, come Di Battista, che non vogliono saperne. Dunque si muove con diplomazia estrema, cammina sulle uova, accetta di ingoiare bocconi amari, convinto che per eliminare l'ostacolo Raggi, quando si arriverà al voto di Roma, sarà più utile lavorare sott'acqua per convincere gli stessi 5S a non candidare la sindaca uscente che non battere i pugni sul tavolo. In questo caso, infatti, l'esito potrebbe essere opposto ai desiderata e i 5S potrebbero invece decidere di fare quadrato proprio per non apparire genuflessi di fronte al partito già odiato agli occhi della loro smarrita base.
Il calcolo di Zingaretti non è irragionevole ma solo estremamente cauto e prudente. Però tanta cautela implica un fattore di rischio non secondario. Beppe Grillo, fondatore e principale sponsor dell'alleanza con il Pd oggi, non si è infatti trasformato dal giorno alla notte come pure potrebbe sembrare. In realtà proprio lui, comico prestato alla politica, si muove con acume politico più di tutti gli altri leader in campo. Il comico genovese ha dovuto prendere atto del fallimento della sua strategia. I parlamentari a cinque stelle che dovevano aprire il Parlamento come una scatoletta di tonno si sono invece immersi in quell'olio con sorprendente rapidità. L'alleanza con la Lega si è risolta in una Caporetto. Il miraggio di conquistare la maggioranza parlamentare da soli è svanito una volta per tutte.
Beppe Grillo ha quindi ripiegato su una sorta di ' piano B'. Conquistare il Pd dall'interno invece che dall'esterno. E' una strategia che si articola su due piani. Sul primo mira a usare il partito di Zingaretti come alleato, però subordinato, necessario per restare al governo. Dall'altro intende colonizzare il Pd dall'interno, spostandolo sempre più su posizioni affini a quelle dell'M5S. Conosce i suoi polli e si rende conto che per il Pd un fallimento dell'esperienza di governo ora sarebbe disastrosa e punta su questo per costringere sempre più il partito di Zingaretti ad accettare e anzi a fare proprie le posizioni pentastellate. L'azzardo sta nel fatto che fra le tre principali forze di governo, due, l'Italia Viva di Renzi e l'M5S telecomandato da Grillo, si sono rapidamente dotati di una strategia politica a medio termine e sanno cosa vogliono. Il Pd invece appare legato solo all'idea di restare al governo, ma senza alcun orizzonte progettuale. Per farcela, inoltre, il partito del Nazareno deve puntellare l'alleanza con frequenti cedimenti, come quello sulla riforma istituzionale o quello sulle dimissioni della Raggi e il rischio di deludere una parte sostanziosa del proprio elettorato reale o potenziale è dunque più alta di quella che corre l'M5S, che ha già pagato il suo prezzo, molto alto, per l'alleanza con la Lega e ora appare invece come saldamente installato al posto di comando. L'incognita da cui dipende il futuro del pd è questa, e solo le elezioni regionali offriranno una risposta certa.