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Giuseppe Conte
Enrico Letta può finalmente esultare. Il suo “nuovo corso” parte con quel 5 a 0 sul centrodestra (a Roma, Torino, Milano, Bologna e Napoli) che alla vigilia delle Amministrative veniva scaramanticamente sussurrato nelle stanze del Nazareno. Senza farsi sentire troppo in giro. Il Pd, adesso, può tranquillamente ambire a guidare il Paese alle prossime Politiche. Di certo Letta ha messo una seria ipoteca sulla leadership della coalizione. Perché per un “nuovo corso” di successo ce n’è un altro che stenta a decollare, quello di Giuseppe Conte, presidente di un partito dilaniato e in crisi d’identità dopo gli anni di governo.
Il grillismo, inteso come rapporto diretto tra il “megafono” e la pancia dell’elettore è morto. In piazza come nelle urne. E l’ultimo turno elettorale non fa altro che certificarne la dipartita. Il Movimento 5 Stelle non governa più neanche un Comune italiano, non uno di quelli importanti almeno, sparito da ogni capoluogo di Provincia di questo Paese.
Le varie Parma, Livorno, Torino e Roma sono solo un lontanissimo ricordo spazzato via o da scelte suicide o da anni di cattiva amministrazione. I pentastellati hanno perso le loro roccaforti di carta, distrutte, ironia della sorte, dal passaggio dell’alleato, il Partito democratico, molto più attrezzato a competere sulle lunghe distanze. Il M5S entra in Giunta solo dove sceglie di correre al traino dei dem (come a Napoli e Bologna). Oppure finisce all’opposizione (come a Roma e Torino) quando non fuori dal Consiglio comunale, come a Milano, dove i grillini si sono piazzati dietro Gianluigi Paragone.
Per rendersi conto della debacle epocale basta dare un’occhiata ai risultati ottenuti al primo turno dal partito pentastellato nelle due città simbolo della cavalcata del 2016: Roma e Torino. Cinque anni fa nella Capitale la lista del Movimento aveva portato a casa il 35,2 per cento di consensi, prima di spazzare via il candidato del Pd, Roberto Giachetti al ballottaggio. Oggi a Roma i grillini valgono l’11 per cento, con l’aggravante di aver sprecato il vantaggio di presentare la sindaca uscente. Senza contare la disfatta nei Municipi capitolini, le vecchie circoscrizioni, un tempo cannibalizzati dal partito che fu di Grillo e Casaleggio, adesso appannaggio esclusivo dei dem, con una sola eccezione di centrodestra.
A Torino, dove Chiara Appendino ha scelto di farsi da parte, nel 2016 il M5S col 30 per cento risultava primo partito già al primo turno aggiudicato però dalla coalizione a guida Pd con un distacco di oltre dieci punti (un particolare che fece illudere il povero Piero Fassino di avere già la vittoria già in tasca). Cinque anni dopo, lo stesso partito, sotto la Mole pesa l’ 8 per cento. Certo, su questa nuova tornata ha pesato parecchio l’astensionismo, cresciuto quasi ovunque di almeno dieci punti percentuali, ma non può essere considerato l’unica causa di un’inversione di rotta così radicale. Né un fallimento elettorale di queste proporzioni è spiegabile con lo scarso radicamento territoriale di un partito che, salvo rare eccezioni, non ha mai brillato alle consultazioni locali. Nel 2016 Raggi e Appendino trionfarono anche indipendentemente dai loro meriti, approfittando di un’onda cavalcata a livello nazionale da Beppe Grillo.
Così, per una frangia sempre più nutrita di parlamentari preoccupati per il loro destino, la responsabilità della sconfitta è in parte da attribuire a una leadership sbiadita e senza progettualità. Conte, secondo i detrattori interni, sarebbe in altre parole colpevole di un “appiattimento sul Pd” che avrebbe tolto qualsiasi appeal al partito del vaffa, ormai rappresentato da un ex premier pacato e da un ministro degli Esteri più che composto, disposto ad abiurare persino alla vecchia visione giacobina della giustizia per rassicurare i partner di governo e internazionali.
Il nuovo corso contiano, al momento parte in salita. E a poco serve provare a suonare la carica come fa Conte a urne chiuse: «Lavoreremo in modo costruttivo ma senza fare sconti a chi governerà le città perché la nostra stella polare sarà sempre l’interesse esclusivo dei cittadini», dice. Ma in attesa di capire dove porterà il percorso appena intrapreso ai cinque stelle non resta che consolarsi con le parole del sottosegretario all’Interno, Carlo Sibilia, che esulta per la riconferma dei sindaci di «Noicattaro e Ginosa». Non sarà Torino ma è pur qualcosa.