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La legge elettorale presentata dalla maggioranza non soddisfa del tutto nessuno, tranne forse i 5S. Il Pd avrebbe preferito inserire almeno un correttivo maggioritario, nella convinzione, più fideistica che suffragata dall'esperienza, che quel sistema lo avvantaggi convogliano sulle sue liste, in nome del voto, utile, anche molti elettori altrimenti perplessi. LeU, soprattutto ma non solo nella sua componente proveniente da Sinistra italiana, non vuole una soglia così alta, consapevole come è di non avere molte chances, per usare un eufemismo, di superare il 5%. L’Italia viva di Renzi, ufficialmente, è contraria solo al “diritto di tribuna” che permette ai partiti che, pur non superando la soglia, ottengono un quoziente pieno in tre circoscrizioni di almeno due regioni diverse alla Camera e in almeno due circoscrizioni al Senato, di ottenere comunque una rappresentanza. Per Iv è una trappola, perché la “tribuna” permette ai partitini in diretta competizione, come quello di Calenda, di non unificarsi con Iv. E' tuttavia probabile che, pur non volendolo ammettere sia propria la soglia del 5% a contrariare, a dir poco, Renzi.
In queste condizioni, il percorso della legge in commissione non sarà certo facile ed è ben poco probabile che la legge in versione definitiva sia identica a quella presentata in fretta e furia alla Camera due giorni fa, anche a costo di scontare divisioni esplicite nella maggioranza, nella speranza di bloccare così la possibile ammissione del quesito referendario della Lega a favore del maggioritario da parte della Consulta, la settimana prossima. Anche al netto delle possibili modifiche di cui è passibile il cosidetto “brescianellum”, dal nome del deputato pentastellato Brescia che firma la proposta, i due sistemi, quello della maggioranza e quello che la Lega vuole sottoporre a referendum, sono diametralmente opposto. Il primo vuole semplicemente cancellare dall'attuale modello di legge elettorale la quota maggioritaria, l'altro mira a eliminare la quota proporzionale. Posizioni opposte, sia chiaro, non in virtù di logiche elettorali diverse ma semplicemente della convenienza a breve. Entrambe le proposte sono tarate solo ed esclusivamente su quello che la destra e l'alleanza di governo ritengono essere più conveniente in questo momento.
Che una simile logica non sia quanto di più lungimirante è evidente. Ma in generale l'illusione di intervenire su una crisi di sistema come quella che sta attraversando l'Italia grazie all'ingegneria elettorale è miope e fallimentare. Nessuno dovrebbe saperlo meglio dei politici italiani, per esperienza diretta o per memoria tramandata, dal momento che proprio l'Italia ha tentato, con esisti disastrosi, di imboccare quella scorciatoia nel 1993.
Il sistema proporzionale che propone oggi la maggioranza si basa su due pilastri: una effettiva centralità del Parlamento e l'esistenza di partiti solidi ma anche credibili, in grado quindi di muoversi nel gioco delle alleanze postelettorali con la libertà garantita della fiducia dell'elettorato. Nessuno dei due prerequisiti è presente nell'Italia di oggi.
Il Parlamento è stato allo stesso tempo ridotto a una fabbrica di voti sui decreti del governo, spessissimo al coperto della fiducia, e gode di legittimità scarsissima presso l'elettorato. I partiti semplicemente non esistono: o sono truppe al servizio del capo, quando non addirittura compagnie di ventura, oppure, in assenza del leader forte, territori traversati e messi in scacco dalla conflittualità permanente. La credibilità presso l'elettorato è tanto bassa da limitarne al massimo la libertà di movimento o da costringerli, come capita ai 5S, ad assumere posizioni rigidissime per “farsi perdonare” dall'elettorato alleanze spurie. In queste condizioni, con un sistema tedesco moncato però del cancellierato, le alleanze politiche inevitabili con un sistema elettorale proporzionale non possono portare alla condizione ben più stabile di quanto non apparisse della prima Repubblica ma al quadro confuso e paralizzato degli ultimi anni, con partiti costretti all'immobilità per non mettere le fragili alleanze a rischio di frana e con premier condannati al ruolo di mediatori a tempo pieno invece che di leader capaci di impostare strategie politiche reali.
Le cose non starebbero molto diversamente se in qualche modo si affermasse il maggioritario puro chiesto dalla destra. Per funzionare, infatti, quel sistema chiede una sorta di elezione diretta anche del premier, esplicita oppure, come nel caso del Regno Unito, derivata da una convenzione accolta da tutti. Anche in questo caso, una crisi di sistema può essere affrontata e risolta solo mettendo mano all'intero sistema e non puntando sulla scorciatoia della legge elettorale o su riforme costituzionali inconsistenti e dannose come l'abolizione del Senato di Renzi o il taglio dei Parlamentari del M5S.