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Trentasette miliardi. Tanto vale il futuro del governo Conte. Sono i soldi messi a disposizione dal Mes, il Meccanismo europeo di stabilità, con una linea di credito creata ad hoc per sostenere i Paesi più colpiti dal coronavirus. E sono i soldi su cui l’esecutivo rischia seriamente di traballare. Se per alcuni infatti quel prestito rappresenta un’opportunità unica per lil nostro Paese, per altri sarebbe l’inizio di un incubo greco che metterebbe in pericolo la sovranità italiana.
Da un lato Movimento 5 Stelle, Lega, Fratelli d’Italia e una parte di Leu, da sempre ostili al Mes, convinti che accedendo a questa linea di credito il nostro paese si trasformerebbe improvvisamente in osservato speciale d’Europa, praticamente commissariato da Bruxelles. Dall’altra lato si schierano tutte le altre forze dell’arco parlamentare, col Pd in testa, che ieri ha rotto definitivamente gli indugi chiedendo al presidente del Consiglio di prendere posizione in merito perché «non possiamo permetterci ancora di tergiversare». A sollecitare Conte ci ha pensato Nicola Zingaretti in persona con una lettera inviata al Corriere della Sera. «La danza immobile delle parole, slogan, furbizie lasciamoli alle destre, noi anche nel nostro partito dedichiamoci a dare risposte alle persone e ricostruire l’Italia uniti», scrive il numero uno dem, prima di elencare le dieci priorità su cui investire gli aiuti europei: «Nella ricerca, rivoluzionare e digitalizzare il settore sanitario, dare più centralità a medicina territoriale e distretti, più forza alla medicina di base, riformare i servizi per anziani e malati cronici, modernizzare e adeguare gli ospedali, aumentare gli investimenti nel personale sanitario, garantire l’accesso alle terapie, ampliare le borse di studio e, da ultimo, aumentare i posti finanziati per gli specializzandi», chiarisce Zingaretti.
Perché i 37 miliardi di euro messi a disposizione dal Mes prevedono un’unica condizione: essere destinati esclusivamente alle spese sanitarie. Il prestito andrebbe restituito a tassi di interesse molto bassi e senza condizionalità, ovvero senza la richiesta di riforme strutturali da metter in campo in cambio del sostegno. O almeno questo è ciò che si sa, al momento, di questo tipo di strumento, in base alle vaghe indicazioni fornite lo scorso maggio dall’Eurogruppo. Ed è proprio la presenza di qualche incertezza sulle modalità di restituzione del debito a creare lo scompliglio politico.
«Registriamo che alleati di governo insistono sull’adozione del Mes. Vale lo stesso per il Movimento 5 Stelle, che continua a confermare la propria linea: il Mes non è uno strumento idoneo e restiamo contrari», mette in chiaro il capo politico pentastellato Vito Crimi. «Se debito deve essere, allora meglio che avvenga attraverso lo scostamento di bilancio». Per i grillini la battaglia sul Mes è l’ultimo baluardo dell’antica ortodossia da difendere con le unghie e con i denti. E non solo per una ideale questione di purezza, ma perché cedere su questo tema significherebbe sfilacciare ulteriormente un partito già attraversato da feroci lotte intestine con Alessandro Di Battista pronto alla spallata definitiva. Ripetere il copione già visto con la Tav, del resto, non salverebbe la poltrona di Giuseppe Conte: un’altra pattuglia di nostalgici salviniani è infatti già pronta a spostarsi tra i banchi della Lega al primo incidente parlamentare. Il sì al Mes sarebbe l’occasione giusta per giustificare l’eventuale cambio di casacca, e con numeri così risicati al Senato ( 162, solo uno in più della maggioranza assoluta) per il governo sarebbe il canto del cigno.
L’ostinata opposizione al Mes alimenta però i malumori tra gli alleati, con Italia viva e Pd ricoalizzati per il pressing sul presidente del Consiglio. «Il premier, Giuseppe Conte, sciolga definitivamente tutte le riserve e proceda nell’interesse degli italiani e non di quelli dei singoli partiti», sferza la renziana Michela Rostan. «In questi mesi è cambiato tutto, in Europa sono stati messi in campo strumenti mai visti prima e rimanere fermi significa solo essere miopi e irresponsabilmente ideologici», le fa eco il vice capogruppo Pd alla Camera Michele Bordo.
Ma i grillini non ci stanno a recitare la parte dei bastian contrari per principio e col vice presidente del Parlamento europeo, Fabio Massimo Castaldo, replicano: «I dubbi sul Mes non nascono da mere ragioni ideologiche, ma sono circostanziati in modo puntuale da motivazioni giuridiche ed economiche alle quali commentatori ed esponenti politici non rispondono nel merito». Con i 5S si schiera Stefano Fassina (Leu), mentre Matteo Salvini si gode la scena e soffia sul fuoco delle contraddizioni di maggioranza per velocizzarne il collasso. Il Mes mette a rischio «il futuro dei nostri figli», dice. Ma l’unico futuro a rischio, per il momento, è quello di Giuseppe Conte.