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«Verifica è un termine che non piace a me e al premier Conte: la chiamerei rilancio dell’azione di governo». Al di là delle preferenze lessicali del ministro della Salute, Roberto Speranza, il confronto tra le forze di maggioranza, che dovrebbe andare in scena oggi pomeriggio, nasconde parecchie insidie per l’armonia governativa. Perché l’agenda Conte 2020, e quella più ottimistica che punta al 2023, rischia di fare solo da sfondo al confronto muscolare che verrà contrapposti Movimento 5 Stelle e Pd.
Effetti collaterali del voto emiliano romagnolo che ha ringalluzzito le ambizioni democratiche e mortificato la voglia di riscatto grillina. Da un lato un partito che ha finalmente trovato un leader vincente, dall’altra un movimento disorientato, volatilizzato nelle urne e guidato dato da un reggente non riconosciuto dalla base parlamentare. A complicare il quadro, i dossier pesantissimi lanciati sul tavolo della verifica: prescrizione, concessioni autostradali, Ilva, solo per cominciare. A cui bisogna però aggiungere gli altri conti in sospeso per poter dar vita alla tanto agognata “fase 2”: il tagliando al reddito di cittadinanza e a “Quota cento”, la modifica dei decreti sicurezza, il salario minimo, il Jobs act, il piano shock sulle infrastrutture. E a metterli tutte in fila si fatica a trovare un solo tema su cui i due pilastri della maggioranza abbiano una visione condivisa.
Il primo nodo al pettine, la prescrizione, potrebbe essere il più complicato da sciogliere, soprattutto dopo l’elezione per acclamazione di Alfonso Bonafede alla carica di capo delegazione M5S a Palazzo Chigi. In un partito in crisi d’identità, infatti, aggrapparsi a una bandiera storica, come la battaglia sulla prescrizione, potrebbe trasformarsi in una questione di vita o di morte.
A costo di far vacillare la sedia di Giuseppe Conte. I teorizzatori pentastellati della “terza via”, asserragliati sulla stessa barricata tracciata da Luigi Di Maio prima di sciogliere il nodo alla cravatta, hanno un’unica convinzione: la via per la sopravvivenza politica passa solo dall’indipendenza dal Pd.
Così, il cambio di passo chiesto da Andrea Orlando agli alleati, sui temi e sulle intese elettorali da estendere a tutto il Paese, può attendere. Almeno fino agli stati generali del M5S quando finalmente filo dem, filo Lega e fan dell’autosufficienza potranno contendersi la guida del partito e spazzare il campo da possibili ambiguità.
Difficilmente, però, il Pd starà a guardare tutto questo tempo senza capitalizzare l’entusiasmo delle urne emiliane.
In mezzo c’è anche l’incognita Italia Viva, che di certo non tira dietro il piede se c’è da fare uno sgambetto. Sulla giustizia come sui Benetton, sul Jobs Act come sul reddito di cittadinanza. Domani ci sarà modo di studiarsi. Anche se nessuno la chiamerà verifica.