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Giusto il tempo per il pranzo di Natale poi sono arrivate, indigeste, le dimissioni dell’ormai ex ministro dell’Istruzione, Lorenzo Fioramonti. Santo Stefano, invece, è stato il giorno delle polemiche incrociate su una scelta che molti hanno vissuto come un fulmine a ciel sereno, altri come la mossa studiata per spacchettare il gruppo 5 Stelle ( si parla di un gruppo di transfughi grillini pronti a seguire Fioramonti nel gruppo misto). Il diretto interessato, invece, ha giurato di aver seguito solo la sua coscienza e di aver dato seguito alla sua promessa del giorno del suo giuramento, appena 4 mesi fa: aveva chiesto 3 miliardi di euro per rivoluzionare l’istruzione e la ricerca ma in Finanziaria non sono arrivati, dunque lui ha atteso la conclusione del voto e poi ha recapitato le sue dimissioni al premier Giuseppe Conte, cui ha rimproverato: «Sarebbe servito più coraggio».
Il suo addio e il conseguente ritorno da parlamentare semplice alla Camera nel gruppo misto, però, aprono le porte con qualche giorno di anticipo al mese di passione che aspetta il governo giallorosso e in particolare il presidente del Consiglio.
Proprio sulle sue spalle, ora, pesa la grana di trovare un sostituto per il dicastero di viale Trastevere: lo scranno fa gola a molti e in particolare quanti chiedono un rimpasto di maggioranza, ma il rischio di perdere altri pezzi è alto. Non solo, le opposizioni hanno già iniziato a dare battaglia con Forza Italia che chiede al premier di riferire sulla «grave crisi».
L’iniziativa ha ulteriormente incendiato il caos interno ai 5 Stelle, tra ira e sospetti. A dar voce al disappunto è stata l’ormai ex collega pentastellata e ministro della Pubblica Amministrazione, Fabiana Dadone: «Trovo stucchevole che chi professi coraggio agli elettori poi scappi dalle responsabilità politiche.
Se hai coraggio, non scappi. Se condividi davvero una battaglia, non scappi, ma mangi sale quando devi e porti avanti un progetto ( ammesso che lo si abbia mai realmente condiviso). La coerenza è per lo più un pregio, ma a volte rischia di sconfinare nella sterile testimonianza che, peraltro, si addice poco a chi occupa posizioni di responsabilità». Come a dire: i fondi sarebbero un puro pretesto. Proprio questo è il timore dei grillini. Fioramonti non ha mai fatto mistero di non avere feeling con il capo politico Luigi Di Maio e di gradire poco le ingerenze della Casaleggio associati e ora, di fronte all’ipotesi che il suo addio possa portare con sè ulteriori defezioni ( una delle ipotesi è che Fioramonti costituisca un gruppo pro- Conte, aprendo una breccia nel gruppo 5 Stelle), è partito il fuoco di fila. «Tre miliardi?
Cominciasse lui a restituire i 70 mila euro che ci deve», è la frase che filtra tra i gruppi parlamentari grillini, che condividono sulle chat il link alla pagina tirendiconto. it, dove risulta che l’ex ministro abbia smesso a dicembre scorso di restituire la parte dello stipendio prevista. La grana, per i 5 Stelle, riguarda però la scelta del sostituto: in pole ci sarebbe il calabrese presidente della commissione Antimafia, Nicola Morra, che andrebbe ricompensato per evitarne la fuga. Ma, come sempre, per accontentare qualcuno si scontenta qualcun altro. E in questa polemica si incuneano gli alleati di governo. Se il Partito Democratico sceglie di non commentare le dimissioni, la bordata contro il ministro arriva da Italia Viva. «Se veramente ci si vuole battere per avere più risorse per la scuola bisogna stare in Parlamento non all’estero, non a presentare un libro o a fare conferenze stampa», è l’affondo congiunto dei capogruppo di Iv in commissione Cultura di Camera e Senato, Gabriele Toccafondi e Daniela Sbrollini. «In quattro mesi questa maggioranza ha votato un decreto scuola, con 50mila assunzioni e risorse.
Non è quanto volevano ma nella legge di Bilancio, di risorse per l’istruzione, ci sono», proseguono, ribadendo che questo è stato possibile «grazie ai parlamentari di maggioranza, perché di contributi del Miur ne abbiamo visti pochi e soprattutto non abbiamo mai visto il ministro». I renziani, inoltre, stigmatizzano come «Noi di Italia Viva siamo stati i soli in maggioranza a dirlo: in manovra andavano trasferiti fondi da reddito di cittadinanza e quota 100. Nulla di più diseducativo di queste due leggi del governo gialloverde», ha scritto Davide Faraone.
Alla polemica politica si sommano anche le reazioni dei sindacati della Scuola. Il segretario generale della Flc Cgil, Francesco Sinopoli, ha ricordato come le dimissioni siano arrivate «pochi giorni dopo la sottoscrizione di impegni precisi assunti con le forze sindacali, rappresentative della grande maggioranza di lavoratrici e lavoratori della scuola, dell’Università e della Ricerca» e che avranno «ripercussioni soprattutto sul piano istituzionale, a partire dal Quirinale, per finire al Parlamento chiuso per ferie, e dunque impossibilitato a dibatterle nel merito».
meno duro, invece, il segretario generale della Uil Scuola, Pino Turi: «Purtroppo è vero che la politica non gli ha dato quello che ha chiesto e quindi coerentemente, come aveva dichiarato, si è dimesso», la speranza, ora è che «questo gesto possa servire a far riflettere. Prendiamo atto della sua decisione e diamo atto a Fioramonti della sua coerenza che in questo paese è comunque merce rara».