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Il ministro degli Esteri Luigi Di Maio Foto Filippo Attili/Palazzo Chigi/LaPresse
«In questi giorni sta nascendo il fronte del No al referendum. È un fronte interno alla politica, è un fronte di establishment, di coloro che hanno da perdere dal taglio». Luigi Di maio accende formalmente i motori della campagna referendari con una diretta Facebook, attaccando chi vuole mettere in discussione la riforma bandiera del Movimento 5 Stelle. «Noi non avremmo chiesto agli italiani se erano d’accordo» sul taglio «perché credo che la stragrande maggioranza dei cittadini sia d’accordo. Ma alcuni parlamentari hanno chiesto il referendum, dopo che avevano votato all’unanimità sul taglio», spiega il ministro degli Esteri. «Ora che alcuni parlamentari di alcune forze politiche siano contro il taglio dei parlamentari, ce lo aspettiamo ma tutti i cittadini che incontro e che ho incontrato in questi anni ci hanno sempre detto che il numero dei parlamentari era troppo elevato», aggiunge. Di Maio non nomina i partiti meno convinti della riforma costituzionale, ma è evidente che buona parte del suo discorso è rivolto al Pd, che, senza entusiasmo, aveva sostenuto il provvedimento grillino subordinandolo però alla modifica preventiva della legge elettorale. Garanzia finora disattesa dai grillini. «Il taglio dei parlamentari è solo l’inizio di un percorso che porterà a rivedere la legge elettorale. Una legge che permetta ai cittadini di essere rappresentati e al Paese di essere governato nel migliore dei modi», spiega Di Maio, provando a rassicurare i vari Ordini, Cuperlo e tanti altri esponenti dem pubblicamente schierati a sostegno delle ragioni del No. «C’è chi dice che il taglio indebolisce il Parlamento. Non è così perché produrrà l’esigenza di rivedere a che i regolamenti parlamentari e qui si può rafforzare il Parlamento che non deve solo produrre leggi ma anche controllarne l’applicazione. Quando noi facciamo le leggi dobbiamo controllare che funzionino», insiste l'ex capo politico. Che per convincere gli scettici del Pd prova anche a pescare nel pantheon dem per avvalorare la sua tesi. «Perché non siamo preoccupati da un punto di vista della rappresentatività?», si chiede retoricamente Di Maio. «Perché quando fu fatta la Costituzione noi non avevamo i consigli regionali, comunali o provinciali. Venivamo dal fascismo» e non era ancora stata costruire la rete istituzionale sui territori, «ora abbiamo tanti strumenti in Italia che permettono ai cittadini di eleggere i propri rappresentanti. Tanto che la stessa Nilde Iotti, 36 anni fa, diceva che i parlamentari sono troppi», spiega il ministro degli Esteri, prima di annunciare il suo tour referendario. I riferimenti storici però non bastano a far cambiare idea agli esponenti dem, che col senatore Francesco Verducci incalzano: «Questo è un taglio che toglie rappresentanza e quindi pericoloso per la nostra democrazia. Spero che la Direzione del Pd - che ancora non è stata convocata- abbia il coraggio di schierarsi per il No perché la condizioni pattuite un anno fa non sono state mantenute. E non solo. Su questa partita si gioca anche la nostra identità politica: non possiamo essere succubi della peggiore demagogia antipolitica» E oltre ai dubbi del Pd, i grillini devono fare i conti con nuove possibili defezione nel fronte del Sì. Come quelle di Forza Italia, finora schierata dalla stessa parte della barricata del Movimento 5 Stelle, che comincia a porsi delle domande. «Se vincesse il Sì, si produrrebbe solo un taglio lineare ma non cambierebbe nulla, anzi si peggiorerebbe l’efficienza della macchina parlamentare», dice al giornale Renato Brunetta. «Se vincesse il No, invece, si potrebbe rimettere al centro la politica e con la crisi dell’esecutivo si potrebbe anche tornare alle urne. Magari dopo aver fatto un patto d’onore proprio con i partiti del centrosinistra per far sì che la prossima legislatura sia una legislatura costituente. Capace cioé di una vera e chiara riforma delle Camere». La partita referendaria è appena cominciata. E il risultato non è affatto scontato.