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Più che i trattati di scienza politica bisognerebbe consultare quelli di demonologia. Se tre indizi fanno una prova, qui ce ne stanno a sufficienza per essere certi che quella della legge elettorale per la politica italiana è una maledizione da terrorizzare persino Stephen King. I vecchi democristiani, che con la Biblioteca Angelica avevano dimestichezza, provarono a sbirciare nel vaso di Pandora una volta sola, nel 1953 con legge truffa. Mal gliene incolse. Capirono l’antifona e si ritirarono in buon ordine, lasciando sul campo le spoglie del capo Alcide De Gasperi, e da quel momento della legge maledetta non vollero più sentir parlare per quasi quarant’anni.
L’Indiana Jones cui capitò di disseppellire l’amuleto scatenando il sortilegio, nel 1991, era anche lui un democristiano ma sui generis, senza correnti di appartenenza né grande credibilità nel partito, affascinato dall’America al punto di perdere di vista le considerevoli differenze tra la sua penisola e il Paese della Libertà: Mariotto Segni. Raccolse le firme per un referendum contro le preferenze, indicate al pubblico ludibrio come chiave di volta dello strapotere dei partiti. In effetti pare strano a 26 anni di distanza ma gli stessi strali che oggi bersagliano l’assenza di preferenze, arma infida nelle mani dei partiti, erano allora rivolti contro le medesime preferenze, ed esattamente per gli stessi motivi.
A sorpresa il referendum raggiunse il quorum e le preferenze furono depennate. Gli italiani scelsero di non seguire il consiglio di Craxi, disertarono le spiagge e moltissimi videro in quel miracolo l’alba di una nuova era. Se non era stato possibile raggiungere il nuovo e scintillante orizzonte col voto, lo sarebbe diventato lavorando sulle norme che il voto dovevano regolare. Il referendum per l’abrogazione del proporzionale, nel 1993, fu un trionfo, favorito a dir poco dal fatto che solo una esigua minoranza votò davvero per scegliere tra sistemi elettorali diversi. Il referendum fu vissuto come come alternativa secca tra i partiti e un non meglio identificato “nuovo avanzante”. Con tangentopoli a sovrastare il tutto, non ci fu partita.
La nuova legge, il Mattarellum, a sentirne parlare oggi sembra fosse la pietra filosofale. Sul momento gli entusiasmi erano più tiepidi. Era una tipica formula di mediazione. Un po’ con una quota proprozionale del 25%, un po’ con una diavoleria chia- mata scorporo che i pochi ad averne capito il funzionamento costituiscono a tutt’oggi un circolo selettivo e ristrettissimo, cercava di quadrare il cerchio tra maggioritario e proporzionale. Va detto a suo merito che, a differenze degli scarabocchi partoriti in seguito almeno ci provava sul serio. La legge partorita dal popolo referendario doveva assicurare nell’ordine: stabilità; chiarezza negli schieramenti: o di qua o di là. Non andò alla grande. Il primo governo eletto con quella legge resse nove mesi prima di essere sostituito da un altro sostenuto a mezzadria da una parte dei vincitori associati con i vari sconfitti. Il secondo resse due anni e mezzo, poi passò la mano a un successore sempre sorretto da gente che veniva un di qua e un po’ di là. Peraltro a concludere la legislatura non ce la fece neanche questo e dovette passare la mano a un ulteriore esecutivo. Il terzo, quello di Silvio Berlusconi vittorioso nel 2001, completò la legislatura, sia pure con un passaggio intermedio dal Berlusconi al Berlu- bis. Non capitava dal 1968 e quello sì che sembrava un successone. Peccato che il prezzo si fosse rivelato esoso. Quella legge elettorale, infatti, non solo non garantiva stabilità e chiarezza, ma soprattutto assegnava a ogni partito in coalizione un potere d’interdizione spropositato. Berlusconi aveva sì governato per cinque anni, però senza fare niente o quasi.
Per questo aveva incaricato quattro “saggi” di ritirarsi in monacale clausura per inventare un marchingegno nuovo di zecca. Quelli portarono a termine la missione anche se non è che ci volesse tutta questa saggezza per inventarsi un modello “chi vince piglia tutto” con un premio di coalizione che sbalzava al 55% la coalizione con un voto in più dei rivali. Pace all’anima della rappresentanza e poco male. Almeno la sera del voto si sarebbe saputo chi andava a governare, secondo il celebre sogno di Matteo Renzi.
I vecchi Dc scuotevano la testa. Sapevano che il diavolo fa le pentole, non i coperchi e il coperchio, nella fattispecie, era quella regoletta costituzionale che impone l’elezione dei senatori su base regionale. Il presidente meno interventista degli ultimi trent’anni ( prima di Mattarella), Carlo Azeglio Ciampi, rispedì la legge in Parlamento. Il tempo stringeva, i saggi decisero poco saggiamente di limitarsi a dividere il premio di maggioranza per il Senato in tanti premietti regionali, vanificando così per intero il senso della legge che diventò a tutti gli effetti una porcata, anzi il Porcellum.
Si sa che col tempo e con una buona dieta di vittime le maledizioni acquistano potenza. Quella della legge elettorale è diventata apocalittica. I fatti parlano da solo: la Corte costituzionale dichiara il Porcellum incostituzionale, un Parlamento eletto con la maialata anti Casta, dunque poco legittimato eticamente pur se politicamente legittimo, impone con la fiducia un nuova legge elettorale, l’Italicum, valida solo per la Camera, tanto il Senato verrà abolito per riforma costituzionale. Invece gli elettori salvano il Senato e affossano così la legge elettorale, che comunque viene affondata anche dalla Consulta che la bolla come anticostituziona-le.
Una nuova legge, dal nome incerto, approda comunque in Parlamento, dove viene affossata al primo voto segreto. Ecco sfornata un’ennesima legge, il Rosatellum che vive in questi giorni i suoi fasti. Nuova fiducia e nuovo rischio ( alto) di incostituzionalità. La maledizione continua ma i conoscitori dell’horror dicono che la fine è vicina. Questa legge elettorale ha ottime probabilità di portare il sortilegio a compimento sancendo per la prima volta una piena e totale ingovernabilità. Ci sarà da brindare....